Avamposti prima dell’ignoto

Ennesima notte di coprifuoco, ormai ho perso il conto di giorni che si somigliano tutti, come un lento cammino verso il patibolo. Il quartiere è deserto. Non che in tempi di “normalità e quiete” sia poi molto diverso. Ma più i giorni passano più questo silenzio spettrale si fa assordante, come fosse un vortice di voci che parlano un milione di lingue sconosciute. Nell’aria c’è qualcosa di angosciante ma stranamente confortevole, forse un sapore di sconfitta a cui sono già abituato. Siedo su un marciapiede freddo ad osservare la notte, riesco a sentire i miei mostri ancora intorpiditi che si risvegliano. Mi parlano, ma hanno ancora paura a mostrarsi completamente, a mettersi a nudo in mia presenza. Chissà dove si celano quando chiudo gli occhi, chissà in quali meandri della mia testa si coricano per riposare e darmi tregua. Eppure sono solo qui ora, fatevi avanti, nessuno vi potrà fare del male adesso. Mostratemi i vostri volti insofferenti, non dovete avere paura di me, forse in fondo sono anche io un mostro. 

Mi sento come se fossi l’ultimo uomo in questo fottuto paese di provincia uguale identico a mille altri paesi di provincia che prendono le sembianze di avamposti di frontiera prima dell’ignoto abitato da fameliche creature selvagge senza nomi. C’è ancora un ignoto da esplorare? Ci sono ancora creature libere e selvagge sconosciute ai nostri occhi mortali? Divago… Abbandonato senza nessuna casa a cui fare ritorno, senza nessuna meta da raggiungere, solo abissi in cui tuffarsi e annegare, solo incubi da interrogare ma che non hanno più risposte da darmi. Mostri fatemi compagnia in questa notte solitaria, la mia carne fresca è pronta per accogliervi e farvi banchettare senza opporre alcuna resistenza. Vi tendo la mano in segno di resa.

Ho appena intravisto una pattuglia all’angolo della strada, credo abbia finto di non vedermi, oppure questa tenue nebbia e la fedele oscurità che mi nasconde sono state abbastanza complici in questa fredda notte di marzo da evitarmi un incontro ravvicinato non gradito con questi cani da guardia di un mondo in cui anche le macerie son divenute merce. Il tempo scorre sempre più lento al punto che sembrerebbe non scorrere affatto. Nell’aria un vago quanto acre sapore di malinconia, mentre le mie mani tradiscono una paura a cui non sono mai stato in grado di dare un nome. Mi avvio verso le solite strade deserte in cui spero inutilmente di perdermi per sempre, a rincorrere ombre cangianti che percorrono sentieri che conoscono a memoria, con una domanda che mi rimbomba nella testa senza darmi tregua: <<Quante volte può uccidersi un uomo prima di non provare più alcun dolore?>>.

 

Ascolti che hanno accompagnato la genesi di questi pensieri e dunque consigliati per accompagnare la lettura:

Altar of Eden – Chimeras

Poison Ruïn – S/t