C’è questo tempo ancora – Max/Contrasto (da Radio Punk)

…l’esempio dei compagni con il piombo in canna e con la rabbia di quegl’anni. Si è fatta l’ora! Si è fatto il nostro tempo! (Strada per Strada – Contrasto)

Mi capita raramente, molto meno di quello che vorrei in realtà, di postare su questo blog contributi scritti da terze parti e quando lo faccio è solamente perchè mi trovo in totale sintonia e affinità con chi scrive, con le parole che vengono scritte, con le questioni che vengono sollevate, con le analisi che vengono prodotte e con gli spunti di riflessioni che esse susctanto. E’ capitato con il volantino “Alle creste colorate preferiamo il passamontagna” firmato Schifonoia (e non solo), con il contributo dal titolo “Numeri e Incompatibilità” ad opera di Scaglie di Rumore e con “Yes Sir, I Will” interessante analisi prodotta dai compagni di Distrozione. E ricapita ora con questo testo scritto da Max dei Contrasto per le pagine virtuali dei compagni e delle compagne del blog Radio Punk, persone realmente stupende che ho avuto la fortuna di conoscere personalmente e con cui condivido un preciso modo di vedere e intendere la musica e la scena punk hardcore. Buona lettura e passate da Radio Punk, non ve ne pentirete!

 

Mi ricordo un treno, nella memoria stanca
che andava a tutta velocità
a marcia indietro^

Siamo sempre qua. Fermi. Come le montagne. Nullo sorride gentile in questo pomeriggio di ricordi e castagne mentre Ornella si stringe al cancello di casa. Leggera. Pare ancora settembre. Briciole di pane secco. Vecchie scarpe. Rivoli e carraie. E le radici. Gli orti incolti. Grossi rami sospesi da terra. Poi. Quest’odore di legno ferito. Et capì tabac?
C’è stato un tempo in cui è bastato vivere. E notti stellate, bellissime. Attorno a un fuoco.

Notte
al segno di una croce.
E ancora non capisco se il mio ruolo
stia dalla parte di chi adora
supplica
piange
o di chi immerge la lancia**

C’è stato un tempo di pane e barricate. Piombo. Morose. Grilli. Cazzuole. E lunghe attese. Il problema non era tanto uccidere il gerarca fascista o la spia fascista. Che aveva la sua importanzaMa la ripercussione nell’opinione pubblica. Nori veste sobria e attraversa distratta il campo di fondo. Mentre Visone racconta di Porta Nuova, di Ather Capelli. Di Dante, di Bravin e di viale Mugello. Azioni determinate. Determinanti. Un autentico senso
di lotta e di vita nei giorni più belli.

Eppure. Ogni volta che la storia ha ripreso, ha sempre avuto un punto di comunicazione.
Di relazione. E di continuità con quella che è stata la storia precedente.
Non per un raccogliere piatto di ciò che era avvenuto. Che sarebbe quasi antistorico.
Ma perché in un certo qual modo quelle esperienze e quelle realtà trasmettevano qualcosa°

C’è stato un tempo rapido. E un contadino nella metropoli. Così sei tornata a Bologna. Nella tua casa di San Vitale. Se mi dovesse accadere qualcosa pensate a mia figlia.Barbara. Laura. Elena. Mara. E tutte le altre. Con i timori e la gioia. E una corsa al sapore di vita. Le battaglie lasciano segni. Le parole solo sogni.

La nozione liberatoria è una concezione, un modo di guardare la galera.
Guardarla individuando i punti deboli dell’organizzazione carceraria e i punti forti dell’ingegno collettivo dei reclusi. Guardarla in funzione dell’evasione.
Tante mani che lavorano assieme*

C’è stato un tempo in cui è bastato vivere ogni storia di quel tempo. Ogni sguardo. Ogni respiro. Inciampandovi più volte. E vecchie mura di una scuola abbandonata. Come stai? Assassini. L’immagine è quella di un corteo, di un fiume in piena. Di un dito medio tra due sgherri e di Torino in poster. Di una ferita che rimargina in un sogno. Di lame e spranghe.

Max

Sono più di due anni che Mauro passa da una struttura all’altra,
da una pillola all’altra, da un pacchetto di Winston blu all’altro
e dall’idea che uscirne sarebbe tragica soluzione
tanto quanto restarci, tanto quanto niente.
Mauro sente un cordone stretto al collo.
Mauro è un cordone stretto al collo, ma con un nodo fatto male.
Questa non è forse guerra? Dimmi, anche questa non è forse guerra?

Ivan lascia parlare gli occhi mentre smonta e rimonta più volte una vecchia cassetta di Laura Pausini. Sembra una vela in rimessa la voce di Frank oggi a pranzo. Mentre parla sottile, guardando per terra. Tra un’onda ed un piatto di pasta. Come una scheggia di legno salato. E la stretta di polvere e sabbia su quel mare che a volte sospende il bisogno.
Ogni giorno è uguale all’altro. Un tempo immobile. Un sonno ininterrotto. Giovanni scrive mentre le ore si perdono. Dilatano. Ingoiano freddo, sempre freddo. Anche quando l’aria si fa insopportabile e alle narici solo quest’odore. Con la voce che arrugginisce.

Ci sono parole che si posano sulla bocca e altre che si raccontano con le mani.
Libertà è una di queste, è parola di scavo. Quando ci si libera con le proprie mani anche se il progetto s’infrange, la libertà la si è conquistata comunque.
Sembrerà bizzarro da dire, ma da quel canneto affacciato sul mare, da quel batticuore di sfida, con il carcere già alle spalle, io non sono più rientrato, ho preso il largo e se non io lo ha preso il mio immaginario*

C’è questo tempo ancora. E noi. Senza più alibi a vuoto. Parte di queste storie attraverso il respiro dei nostri giorni. Perché nel senso del quotidiano (nel senso del quotidiano) s’appoggia il carico di queste storie. Di queste persone. Per continuare a scavare.
Si è fatta l’ora. Si è fatto il nostro tempo.

max/contrasto hc

^ Nullo Mazzesi
** Giovanni Farina
° Prospero Gallinari
* Beppe Battaglia