“Con il fuoco nelle mani e la rivolta nella testa” – Intervista con i Papal Discount House

Questo esistente, solo schifo e noia. Di questo esistente, e del suo spettacolo annichilente e mortifero, solo polvere e macerie. Che il punk e l’hardcore tornino ad essere una minaccia, che le parole vengano fatte deflagrare per spazzare via certezze e gerarchie. Tra dadaismo, tensioni anarchiche e punk come movimento di critica radicale e non mero genere musicale, questa intervista è una vera e propria bomba all’esistente. Per una volta non serve aggiungere niente all’introduzione di questa intervista, i Papal Discount House ci hanno dato molti spunti su cui riflettere e discutere insieme, quindi vi lascio con le loro parole. Con il fuoco nelle mani e la rivolta nella testa.

Ciao ragazzi, grazie di aver accettato di rispondere alle domande. Iniziamo nel modo più noioso e banale possibile, chi sono i Papal Discount House, quando nascono e perché hanno deciso di suonare insieme?

Siamo solo emozionati della nostra prima intervista, grazie a te e tuttx di Disastro Sonoro. I Papal Discount House nascono nel 2019, si può dire dalle ceneri de “Gli Amici di Andrea” il primo gruppo che abbiamo formato, eravamo giovani, ci piacevano gli Skiantos e suonavamo punk rock al limite del demenziale. Oggi, potremmo dire un passaggio assolutamente fondamentale per togliere i freni alle pulsioni e fare nostra la decostruzione del suono e della musica. Nel giro di breve la necessità e l’urgenza di esprimerci su questioni più intrinseche e rabbiose della vita, ci ha portati a sfociare anche in un cambiamento radicale del suono, a lasciare indietro i vecchi pezzi a la Skiantos (che rimangono comunque una band fondamentale e di ispirazione per noi) e infine anche a cambiare nome della band, poichè visceralmente mutato dai suoi esordi. Tra innumerevoli cambi di formazione, collaborazioni sporadiche e una quadra mai trovata, per diverso tempo la formazione è stata di due componenti: chitarra/voce e batteria. Il desiderio di sperimentare e innovare è sempre stato più grande di noi tant’è che oggi ci piace dire che non esiste più una formazione, non una fissa di sicuro. Proprio per questa impronta dadaista, dovuta dal desiderio di distruggere qualsiasi cosa, soprattutto le certezze, oggi ci troviamo a suonare, quando ci siamo tutti, in una formazione di 5 elementi, con finalmente l’aggiunta del basso, del sassofono, che dadaizza ogni cosa, e l’ultimo brutale arrivo della chitarra che fa solo assoli. Nei concerti l’obiettivo è di rompere i ruoli, il palco non deve dividere nessunx, chiunque può aggregarsi con tamburi, nacchere, piatti e strumenti di ogni tipo e chi sta troppo vicino si trova in mano i nostri strumenti mentre noi poghiamo. A volte succede, a volte no, noi siamo pronti a tutto quello che sia distruzione e riappropriazione della musica e, molto importante, del live, per abolire tutte quelle posture, dinamiche e meccaniche da band e da pubblico.

Da che spinta e bisogno nasce lo split con i compagni dello Schifonoia? Quale relazione vi lega, umanamente e politicamente, a quei tre brutti ceffi? Quali tensioni e ideali avevate in comune all’ora?

Con gli Schifonoia ci piace dire che siamo fratellini, oltre che essere una band che abbiamo sempre stimato in quanto tale, fin dalla loro nascita. E già da prima che i suoni e le idee si riunissero a collimare in quello split, avevamo già stretto un forte legame di amicizia e complicità. Riconoscendoci subito, con lo stesso fuoco e la stessa urgenza, distanti da quel conformismo latente che, anche nella scena punk, va via via sentendosi sempre più stringente. Ci sentiamo di dire che gli Schifonoia sono veri e propri compagni, di quelli da tenersi stretti, in questo maledetto viaggio del caos che è la vita.

Le tensioni comuni che ci hanno portati alla registrazione di questo disco, sono le stesse che ancora oggi ci animano, che ci hanno sempre spinto a fare ogni piccolo passo e a prenderci le nostre soddisfazioni. Tutta la rabbia, l’amore, l’odio e la gioia che possiamo provare nel distruggere, disprezzare, abbattere e ricostruire, riappropriandocene. Con il fuoco nelle mani e la rivolta nella testa. Oggi condividiamo, oltre che un grande amore fraterno, anche un componente del gruppo, così da alimentare ulteriormente quella confusione (che a noi piace) che da sempre fa si che in tanti sbaglino, scambiando una band per l’altra.

Cosa volevate veicolare dietro un titolo come “Il declino della società del pianto“? Da cosa è stato ispirato un titolo simile?

Il declino della società del pianto è il titolo che abbiamo dato allo scenario che, un brano dopo l’altro, si costruisce tra i nostri testi e quelli degli Schifonoia, proiettando in un immaginario costruito dalle nostre parole e i nostri suoni. All’interno del disco fisico, si trova il comunicato, ugualmente intitolato, uno squarcio di immagini tetre e crude, in cui vi si trova una oscura metafora del vivere, o meglio della vita che ci viene venduta sotto ricatto, imposta ad un gregge di fedeli. Da qui, l’odio sublima nella gioia, con l’esplosione distruttrice e divoratrice della rivolta festante e danzante che con il grido e il fuoco spezza l’angoscia di quella nera esistenza che con bieche manipolazioni vogliono farci vivere solo al fine e in funzione di morire. In questo modo abbiamo voluto dare una forma alla nostra critica radicale, con i nostri mezzi, alle nostre attitudini e pulsioni.

È l’idea di ripartire dalla riappropriazione di determinati mezzi al fine di sovvertire l’esistente e quelle certezze e quelle conclusioni che rendono il suddetto un angosciante piagnisteo che ridicolizzandosi di se, si muore addosso accompagnato da una litania rituale e il rintocco delle campane. Ma comunque “condannato dal silenzio vuoto della sua inutile sorte”. All’interno di una società già fallita e morente questo è il nostro messaggio di dissenso, critica e di rivolta, mirato a scardinare quelle giustizie e quelle verità che da sempre giustificano questa esistenza grottesca.

Ascoltando e leggendo i vostri testi salta subito all’occhio l’influenza della critica situazionsita e le riflessioni rivoluzionarie di pensatori come Debord e Vaneigem. Quanta importanza hanno per voi le posizioni situazioniste nella critica radicale a questo esistente? Cos’è per voi la società dello spettacolo e come si può resisterle oggi?

Soprattutto sulla lettura di Debord sulla società dello spettacolo ci troviamo molto concordi, crediamo sia sotto gli occhi di tuttx come la realtà che ci viene proposta non è altro che manipolazione e coercizione venduta a carissimo prezzo con il nome di “dovere”; il lavoro salariato rimane un costante ricatto che spezza le vite e le passioni di chiunque ne subisca il giogo. La massima aspirazione è la scalata sociale ed è proprio da chi ci sta in cima che, attraverso un sistematico bombardamento mediatico e politico, vengono annichilite le masse creando ad hoc per esse con santità e rappresentati dei più svariati settori, narrazioni della realtà distorte e manipolate. Al fine di renderci comparse attive nel gioco e nello spettacolo del potere e del capitalismo. Quindi per quanto certe posizioni e analisi della critica situazionista sentiamo parecchio appartenerci, non pensiamo di poterci definire situazionisti o in qualche modo così strettamente legati a questo movimento, per quanto nella storia e nella scrittura troviamo diversi punti di convergenza. Se dovessimo definirci in qualche modo, come band, diremmo che siamo anarchici e dadaisti. Questa è l’impronta di fondo che sentiamo di voler valorizzare, l’amore per la distruzione e la sperimentazione delle cose, delle idee e quindi anche della musica. Nel dadaismo come movimento e filosofia sotto una luce radicalmente anarchica, ritroviamo punti di incontro e la gioia di aggredire insieme la vita, e riappropriandocene attraverso la totale decostruzione di certe meccaniche totalmente distanti da noi.

A partire dalla formazione che ci piace non avere fissa e in costante e frenetico mutamento, attraverso il coinvolgimento di chiunque incontriamo, che sentiamo affine in qualche modo a noi e al progetto, per collaborazioni, apparizioni e cospirazioni che siano sporadiche o meno, ai concerti e alle prove (che non facciamo). Il fine è sempre fare a pezzi ogni concetto di base, masticarlo, rifiutarlo e rifarlo nuovo. Anche se grezzo, rattoppato e di tutt’altra forma sarà il nostro concetto, nuovo, sperimentale, tagliente ed esplosivo. Pronto ad essere disfatto e ricomposto ancora e ancora. Una formula ideale non è contemplata, è rigettata e abolita. Questo è il nostro schiaffo alla società delle conclusioni e delle certezze, delle verità e della giustizia, ricercando sempre nuove affinità, nuove critiche e autocritiche.

Un altro testo che mi è venuto in mente leggendovi e ascoltandovi è senza ombra di dubbio “Ai ferri corti con l’esistente”. In qualche modo la lettura di quel testo ha influenzato le vostre idee e tensioni? Cosa significa per voi essere ai ferri corti con l’esistente e coi suoi difensori?

Essere ai ferri corti con l’esistente per noi vuole dire continuare, anche se fa male, a prendere a testate quei muri che assopiscono le nostre pulsioni e passioni, incitandole e incendiandole. Ai ferri corti vuole dire scontro ravvicinato, mantenere un rapporto di conflitto con le autorità e rispetto alle strutture e sovrastrutture che incarcerano le vite in subdole e torturate esistenze fini al nulla. Ai ferri corti con l’esistente ci si trova per necessità, l’alternativa è un terribile compromesso.

“Punk come mutuo appoggio, supporto e solidarietà tra individui affini”, è una visione del punk che mi trova profondamente d’accordo e complice. A distanza di anni da quello Split cosa significa per voi essere e suonare punk? Può il punk avere ancora un potenziale di minaccia reale per questo esistente? Altrimenti quale potrebbe essere il ruolo di questa musica e stile di vita oggi nel 2023?

Rispetto al punk, pensiamo che sia un meraviglioso canale di comunicazione, un punto di partenza e soprattutto azione diretta. Una piattaforma dove poter trovare quella condizione di mutualismo, dove poterla applicare e sperimentare. Intenderlo in questo modo per noi sradica alla base il punk dall’essere un genere musicale sicché possa definirsi, movimento. Un ambiente e una scena strettamente legati alla politica e all’anarchismo, questo è il genere di punk che pensiamo e che suoniamo. All’oggi il panorama punk che salta all’occhio pare spesso popolato di fans piuttosto che compagni e supporter. Per questo motivo, ci teniamo a premere sulla questione, riteniamo fondamentale che il punk sia politicizzato; per definizione il punk che sentiamo nostro è di movimento e a questa scena ci atteniamo il più possibile anche decidendo di suonare solo in spazi liberi e centri sociali. Se capita di suonare altrove, e non succede quasi mai, la prendiamo come occasione per dare il peggio di noi e fare in modo che non ci chiamino mai più.

Definire il punk una minaccia ci sembra un po’ inverosimile guardandoci intorno nel 2023. Quello a cui aspiriamo e per cui mettiamo le nostre grida e i nostri rumori è solo perchè questo possa tornare ad essere definito tale. E l’unico ruolo che dovrebbe avere, secondo noi, è proprio tornare ad essere una minaccia, un pericolo eversivo con la forza della rabbia e dello sfogo.

Continuando a parlare di punk come mezzo di critica radicale e non come mero fine innocuo, nello split gli Schifonoia hanno un pezzo intitolato “Sento puzza di lacca” che rimanda ad un comunicato apparso molti anni fa noto come “Alle creste colorate preferiamo il passamontagna”. Qual è la vostra posizione e le vostre idee in merito al punk come codice estetico, come moda e come stile di vita?

Pensiamo che inquadrare il punk all’interno di tali codici estetici e di moda lo svuoti totalmente di tutta l’essenza e della propria carica ribelle, sfociando nel malinteso che fa del dissenso una facciata di toppe e borchie accattivanti. Del punk siamo innamorati e accecati, troviamo al suo interno pratiche, modalità e affinità radicate in quel sentimento che v’è per la libertà e l’insurrezione, per la riappropriazione della vita e della gioia di dirompere con l’esistente. Ci troviamo quindi molto d’accordo con gli Schifonoia nella radicalità del pensiero e della critica anche su questo aspetto. Non concepiamo un movimento punk fine a stesso, che muore nei propri limiti, quelli oltretutto dati da una proposta commerciale, da un surrogato rimescolato per poter essere addomesticato, impacchettato e venduto. Dove l’azione e la concretizzazione di queste parole di dissenso, odio e rabbia vengono a meno crediamo sia la deriva, l’incarcerazione delle idee e di quelle pratiche proprie ed eversive che ne permeano le radici. Ricordiamo bene il comunicato in questione, ancora attuale e incandescente, provocatorio e dritto al punto. Non possono queste parole perdersi nel vuoto, non può il dissenso limitarsi ad essere una testolina che si agita di qua e di la per dire capricciosamente solo un vago “no” rivolto al vento. Suoniamo punk per esprimere una necessità, un urgenza, per rompere e scardinare quelle dinamiche che compongono la società del consumo e dello spettacolo, per esserne l’antitesi. il punk che si riduce a stile di vita e di vestire non è il nostro percorso ne la nostra scena.

Quali pensate possano essere oggi le forme e i terreni di scontro più interessanti capaci di radicalizzare lo scontro e il conflitto contro lo Stato, il Capitale e i loro apparati? E quali sono le lotte e i movimenti a cui siete stati e vi sentite ancora oggi più vicini, affini e attivi, anche nel vostro quotidiano?

Crediamo che lo scontro debba trovare terreno su tutti i fronti, che non ci sia un miglior modo di intraprendere la lotta, quando è volta nei confronti dello stato e di tutti gli apparati che lo compongono. Pensiamo comunque che anche essa non possa inquadrarsi entro certi schemi o tradizioni, che debbano essere le singole individualità a trovare o crearsene un percorso proprio, cosí che ne possa scaturire una rosa di alternative infinite a partire dallo scontro fisico e l’azione, la proposta e la sperimentazione di alternative reali, la propaganda e la diffusione di materiale di lotta e di movimento. Come si diceva, che anche il punk possa diventare fronte di scontro. Personalmente, noi troviamo nella militanza alcune tra le forme più efficaci su tanti fronti a partire dalla lotta al sistema carcerario, un tema che sentiamo vicino e che proprio all’oggi è tornato all’attenzione pubblica per la questione di Alfredo Cospito, la cui lotta non si ferma e con lui neanche la nostra.

Per avviarci alla conclusione dell’intervista, mi sento obbligato a farvi una domanda di natura “musicale”. Suonate anarcho punk, quali sono le band che hanno influenzato la vostra musica?

Pensiamo che l’anarco punk sia per noi un un influenza, probabilmente quello che facciamo si avviciniamo di più al crust, a noi piace definirlo dadaismo crust punk.

Le band che ci hanno influenzato maggiormente, oltre ai già citati Skiantos… anche Wretched e Eu’Arse tra le band storiche, gli Attrito, che ascoltiamo da quando ci siamo avvicinati al punk, i Contrasto, sempre apprezzati per la vicinanza al movimento e alla lotta, un po’ come gli altri citati. Altri gruppi sono sicuramente Pioggia Nera e Nerorgasmo, per quanto riguarda le influenze anarco punk. I Repressione, che ci mancano un casino e speriamo tornino presto a suonare. Non possiamo non citare gli Schifonoia e gli Ultimo Respiro, amici, compagni con cui abbiamo condiviso non solo palchi e musica, progetti che incontrandosi si sono intrecciati per affinità di intenti creando legami e complicità. Per forza di cose ci sentiamo radicalmente influenzati da queste band con cui speriamo di poter ancora collaborare e cospirare.

Dal 2019 I Papal Discount House non rilasciano nuova musica. Avete in progetto di registrare e pubblicare qualcosa di nuovo nel prossimo futuro?

Abbiamo assolutamente intenzione di registrare, proprio adesso stiamo progettando come autoregistrarci due pezzi nuovi e in previsione di quello dovrà essere un prossimo disco. le idee sono tante e le collaborazioni che stiamo intraprendendo via via sul percorso intricano sempre più il progetto, in maniera evolutiva vorticosa e inarrestabile.

Intervista finita, grazie per il tempo che avete dedicato a rispondere alle domande. Che il punk torni ad essere una minaccia per l’esistente, convertiamo le nostre parole in fuoco.

Ti ringraziamo enormemente, è stata un’occasione per noi avere un idea più chiara di quello che facciamo e soprattutto di quello che distruggiamo. Morte alle certezze e alle gerarchie. …Ricordiamo a tuttx che siamo il supermercato discount preferito dal papa e da tutta la popolazione vaticana. Supersconti su tutta linea di bibbie teflonate, rosari usati e madonne a grandezza naturale, versione snodata. Ci vediamo al prossimo concerto o in qualche tugurio dei nostri.