sentiamo tanta voglia di cambiare, tanta voglia di distruggere e di ricostruire di nuovo, di vivere, vivere… vivere!

Qualche mese fa, durante una delle mie classiche divagazioni mentali senza capo né coda, ho provato a tracciare una mappa delle primordiali pulsioni e incarnazioni crust della scena hardcore punk italiana degli anni 80. Durante le ricerche, principalmente costituite da letture di oscuri blog, ritrovamenti di misteriose fanzine e ascolti di dischi seminali di Wretched e altra gentaglia proto crust brutta, sporca e cattiva, mi sono imbattuto ancora una volta in uno dei progetti più affascinanti che abbiamo avuto la fortuna di avere nel movimento punk italiano. Uno di quei gruppi su cui sono anni che penso e ripenso di scrivere qualcosa, ma che per ragioni diverse e scuse che non reggono non sono mai riuscito a concretizzare. Fino ad oggi. Infatti i protagonisti di questo articolo sono i Capite Damnare, progetto anarcho-punk tanto affascinante quanto avvolto dal mistero attivo nella seconda metà degli anni 80 e formatosi tra Milano e Verona. Parlo di mistero perchè della genesi del gruppo e delle biografie dei suoi membri sono reperibili scarsissime informazioni, mentre, per fortuna, a noi è giunto il loro unico reperto discografico registrato ufficialmente nel 1988 e ristampato in formato CD nel 2008. Ed è proprio da questo unico testamento sonoro senza titolo che partiremo per provare a fare una retrospettiva dei Capite Damnare, della loro musica che rappresenta una sorta di unicum all’interno della scena hardcore punk italiana dell’epoca e del loro personale immaginario lirico-concettuale.
Capite Damnare deriva dal latino e significa “condannato a morte”. Non si sa perchè il gruppo abbia scelto questo nome, possiamo solo fare speculazioni e ipotizzare che rappresentasse un po’ la sensazione che provavano dei giovani punx nei confronti del mondo attorno a loro durante quegli anni. Al di là del bellissimo nome scelto, è per prima cosa sul lato musicale che voglio concentrarmi perchè le sonorità a cui si rifacevano i Capite Damnare erano vicine all’anarcho punk britannico di The Mob, Karma Sutra e simili, piuttosto che guardare all’hardcore statunitense, al primordiale d-beat dei Discharge e di altre influenze che andavano per la maggiore all’interno della scena hc-punk italiana. Si potrebbe dire senza troppi errori che musicalmente la band milano-veronese abbia rappresentato una vera e propria eccezione tra i punx della penisola, avvicinandosi per certi versi alle tensioni sonore di certi Contrazione, Franti e soprattutto i maestosi Contropotere. Proprio la band napoletana costituisce forse una delle fonti di ispirazioni maggiori per i Capite Damnare, anche da un punto di vista lirico, estetico e concettuale.

Tornando alla musica, il modo migliore per descrivere la proposta di questi punx anarchici è citare direttamente le parole scritte dal buon Romain di Terminal Sound Nuisance qualche anno fa: “il miglior esempio di quello spazio di confine tra l’anarcho punk vecchia scuola e la primordiale ascesa del crust, da qualche parte a metà strada tra i Deviated Instinct di Tip of the Iceberg e quelli di Terminal Filth Stenchcore”. Anche se comprendo il richiamo ai seminali Deviated Instinct, in molte delle melodie melanconiche e apocalittiche costruite dai Capite Damnare ci ho sempre visto una maggiore influenza degli Amebix, ma forse perchè sono la mia band del cuore e penso che tutto, in quantità e modi differenti, sia stato influenzato sotto sotto dalla band di Rob Miller e soci. Al di là di Deviated Instinct o Amebix, Romain ha secondo me centrato il punto della questione, ovvero che il sound dei Capite Damnare si posiziona realmente in quello spazio di frontiera in cui l’anarcho punk britannico degli albori stava andando incontro all’avanzata del crust punk come lo conosciamo oggi, ma quel mutamento non era ancora del tutto avvenuto, esistendo solamente in forme primordiali e improvvisate. Se invece volessimo giocare di fantasia e immaginarci i Capite Damnare come una band degli anni duemila, non potremmo far altro che accomunare la loro musica tanto ai clamorosi Contravene quanto agli spezzini ANXTV, forse il progetto anarcho punk “moderno” italiano più influenzato, consapevolmente o meno, dalle sonorità della band di Milano-Verona. Ma qui saremmo già nel regno della fantasia, quindi torniamo alla storia e alla nostra retrospettiva.
Un aspetto interessante che dona maggiori sfumature alla loro musica è sicuramente la presenza della doppia voce maschile-femminile, scelta non così largamente diffusa negli anni 80 all’interno della scena hardcore. Questo fatto, affiancato alla personale rivisitazione delle sonorità anarcho punk britanniche, al gusto per le melodie e i momenti malinconico-apocalittici, alle liriche fortemente anarchiche e all’estetica celtico-pagana (simil Sedition e Oi Polloi), fa della proposta dei Capite Damnare qualcosa al contempo affascinante, unico e estremamente personale.
Quindi, su riff proto crust che suonano sporchi e vagamente metallici a là Antisect, furiosi momenti classicamente punk e melodie desolanti post-anarcho punk, si stagliano liriche tanto politiche e militanti quanto poetiche. Ci sono gli ideali anarchici e libertari al centro della scrittura e dei temi trattati dai Capite Damnare, ma non si tratta mai di semplici slogan o di concetti scontati, perchè lo stile con cui vengono sviscerati è fortemente ricercato, personale e tradisce un gusto poetico estremamente valido e intrigante. C’è anche un forte sentimento eretico e blasfemo che serpeggia nelle otto tracce che compongono l’unica pubblicazione della band. Sentimento che viene sottolineato con vanto e orgoglio all’interno delle pagine che accompagnano l’album, come fosse una vera e propria dichiarazione di intenti o una minaccia; si può infatti leggere “Noi porteremo veleno alla cena del Signore, saremo i lupi nel gregge di pecore, le streghe, gli eretici, l’anti-Cristo, il serpente attorcigliato alla croce, la mela avvelenata… Un’insida.”

Ogni testo è poi accompagnato da una manciata di righe di contesto scritte dalla band in cui vengono delineati in maniera coerente, approfondita e priva di fraintendimenti le loro idee, le tensioni che li attraversano e il loro sentire “politico” più profondo. Così avviene specialmente per un brano come Se Questo è l’Uomo, il cui testo si scaglia in maniera spietata e radicale contro il patriarcato e i modelli dominanti, lasciandosi andare a grida di uguaglianza e rivendicando senza timori, ma con una buona dose di provocazione, il loro rifiuto totale sia di una cultura maschilista che di quella femminista. Altro brano meritevole di commenti è senza ombra di dubbio Vivere è Stata la Tua Colpa, intenso, oscuro, emozionante e doloroso nel suo feroce attacco verso ogni forma di sfruttamento e violenza sugli animali; un brano attraversato da un sentimento antispecista sincero e rabbioso, uno spoken word a doppia voce maschile-femminile che si apre e conclude con una frase da pelle d’oca ancora oggi: “morire è stata la tua condanna, vivere è stata la tua colpa”. Perchè se le gabbie ci fanno schifo in quanto anarchici, ci fanno schifo per tutti, umani e non, ed è sempre buona cosa ricordare che ci sono esseri viventi che nascono, crescono e muoiono dietro le sbarre degli allevamenti, tra torture e privazioni. Come ci ricordano i Capite Damandare, l’animale sogna, gioca, corre, respira proprio come noi, perchè infliggerli tutte queste sofferenze se puoi evitarlo?
Potrei analizzare tutti i testi, le tematiche e i brani presenti su questo testamento musicale dei Capite Damnare, ma così facendo renderei questa retrospettiva un’agonia per voi che la leggerete perchè potrei dilungarmi per altre migliaia di parole. Sento però il bisogno di parlarvi dell’ultimo capitolo di questo album senza titolo, l’unico cantato in lingua inglese e anche il più particolare dell’intera visione musicale di questi mitologici punx anarchici. Il brano in questione è They Say: It’s Safe, una nenia sabbatica e pagana cantata a cappella dalla sola voce femminile che richiama la tradizione folk irlandese, una maledizione nei confronti del progresso ecocida e della civiltà industriale che distrugge la natura, una visione apocalittica di disastro post-nucleare, una poesia dannata e allo stesso tempo un lamento funebre per la natura che sta scomparendo sotto i colpi della civiltà dello sviluppo senza fine, dell’artificializzazione e del profitto.
faceva caldo … in una bella serata di primavera, la quiete, le urla dei bambini che giocavano con gioia e poi… tutte quelle stelle colorate, la meraviglia, lo stupore, la fine. (26 aprile 1986)

Non poteva che essere questo ennesima sperimentazione personale, densa di critica alla civiltà capitalista-industriale, devastatrice e distopica ieri come oggi, ad accompagnarci alla conclusione di un album che rappresenta una delle incarnazioni più originali, profonde e affascinanti della scena anarcho-hardcore punk italiana degli anni 80. Un’esistenza breve ma estremamente significativa quella dei Capite Damnare, testimoniata da un reperto di libertà che è giunto fino a noi sottoforma di sogno o condanna a morte. Un piccolo capolavoro dimenticato e semisconosciuto che vi invito a riscoprire, perchè il punk anarchico, nella mia idea, assomiglia a tutto questo e dovrebbe ripartire proprio da esperienze simili per pensare di avere ancora un qualche impatto sul reale, che sia sottoforma di minaccia o di immaginare un mondo radicalmente diverso.
Ma nel silenzio di un’altra sconfitta e tra il rumore di nuove catene sempre è viva la speranza di poter cambiare le cose. Sostenuti da un sogno senza fine. Condannati a morte inseguendo un sogno di libertà!