Crust as Fuck Existence #01

A marzo del 2019 iniziai a scrivere una nuova rubrica (intitolata con il titolo di un disco dei giapponesi Effigy) su queste pagine dedicata quasi esclusivamente alle forme più metalliche, marce e oscure del crust punk, con un occhio sempre attento e puntato verso le ultime uscite che richiamavano quel brodo primordiale conosciuto con il nome di stenchcore, tanto nelle sonorità quanto nell’immaginario e nelle atmosfere evocate. Prendendo a prestito il titolo di un fondamentale disco dei Warcollapse, Crust as Fuck Existence non sarà quindi una nuova rubrica, bensì il naturale mutamente della vecchia Evil Fragments in una forma secondo me più coerente ed immediata. E dato che il 2021 appena passato ci ha regalato una manciata di interessanti dischi, demo e tape capaci di riproporre quel crust punk primitivo nella sua incarnazione più apocalittica, metallica e stench, non perdiamo altro tempo e addentriamoci tra le ombre e gli abissi di una vera e propria crust as fuck existence.
Cimiterium

Quale periodo migliore di una pandemia globale (con tutte le implicazioni repressive di natura politica, sociale ed economica) per trovare l’ispirazione perfetta al fine di suonare un crust punk primitivo, nichilista e dai toni apocalittici? Quale nome migliore di Terminal Filth per una band che vuole omaggiare senza nascondersi band seminali del calibro dei Deviated Instinct e rievocare nei suoni, nelle atmosfere e nell’immaginario, quel brodo primordiale conosciuto come stenchcore creato dalla seminale scena metal/punk britannica e principalmente le sue incarnazioni a cavallo tra la fine dei 90 e i primi anni duemila? Ecco, basterebbero queste piccole note per chiudere qui la recensione di The Plague Session dei berlinesi Terminal Filth e per bollarli, forse con eccessiva fretta, come un gruppo fin troppo derivativo, con poche idee originali da mettere nel songwriting e che si limita a divertirsi a suonare il genere che più gli piace senza troppe pretese. Per fortuna le idee, la passione e una certa dose di personalità sono armi che i Terminal Filth posseggono, che sanno affilare molto bene e ce le mostrano con estrema convinzione in queste quattro tracce, mostrandosi anche capaci di trovare soluzioni e strade interessanti all’interno di un genere dalle coordinate monolitiche che spesso finiscono per risultare ripetitive. Into the Stillness, traccia con cui veniamo introdotti a questo primo lavoro della band tedesca, si apre con un riffing che chiama in causa Hellshock ed echi dei primissimi Bolt Thrower e si mantiene sulle coordinate di uno stench-crust bellicoso, intenso ed estremamente granitico. Questa furia selvaggia e barbarica viene però momentaneamente interrotta dall’inapsettata melodia di violino che introduce il secondo brano Come and See, violino capace di costruire un’atmosfera desolata e malinconica, riuscendo ad evocare toni epici e scenari post-apocalittici su una base di solido crust punk che non mostra segni di cedimento nel suo incedere deciso verso la distruzione. Per quanto a primo impatto si possa pensare ad una band estremamente derivativa, l’ascolto di Plague Session vi farà assolutamente ricredere perchè i Terminal Filth riescono a riproporre la lezione fondamentale di Sanctum, Filth of Mankind (che in più momenti tornano alla mente durante l’ascolto di queste quattro tracce) e dei già citati Hellshock in una maniera personale, appassionata ed profondamente convincente. Shadows of the past, stench of today!

Tra una marea infinita di pubblicazioni di band e dischi votate a suonare d-beat e raw punk, negli scorsi mesi ad un certo punto, come fulmine a ciel sereno, mi imbatto in questo self titled album dei Barren Soil accompagnato dall’etichetta “stenchcore“. Capirete anche voi che per chi, come il sottoscritto, è cresciuto divorando tutto quello che è stato pubblicato dalla primitiva scena crust britannica degli anni 80 di Amebix e Deviated Instinct così come del revival di Filth of Mankind, Hellshock e Istinct of Survival, leggere la parolina magica “stenchcore” vicino ad una nuova band non può che catturare immediatamente il mio interesse e la mia attenzione. Ecco allora che mi ritrovo ad ascoltare questi sconosciuti Barren Soil ed è subito un tripudio di stench-crust barbarico e bellicoso, ma altrettanto attento a creare scenari e atmosfere dai toni vagamente epici e apocalittici senza che però esse possano prendere il sopravvento sull’intensità furiosa e l’impeto istintivo votato alla distruzione totale. Un debutto in formato cassetta attraverso il quale i Barren Soil ci sorprendono con il loro agguato crust punk che non ha alcuna intenzione di fare prigionieri e vuole lasciare solo macerie al suo passaggio. Otto tracce che chiamano in causa quel “revival stenchcore” dei primi anni duemila e in particolar modo l’approccio e il sound di band come Hellshock, Sanctum, Stormcrow e Fatum; un crust punk votato ad incursioni in territori metallici e che ripropone tutti gli stilemi classici del genere, ma suonato con convinzione, un’estrema passione e l’attitudine giusta dalla band di Vancouver, allontanando facilmente i fantasmi della noia e dell’assenza di originalità. L’orda di barbari chiamata Barren Soil sferra colpi mortali con le sue lame arrugginite, cavalca su una terra ormai sterile e saccheggiata in nome del progresso ed è pronta allo scontro finale. Mentre il mondo si prepara a bruciare, lo stench-crust più primitivo, devastante e barbaro riecheggia assordante diventando una vera e propria dichiarazione di guerra!

Mi sono imbattuto negli australiani Cimiterium quando ancora sulla loro pagina bandcamp si poteva ascoltare solamente “Involuntary“, traccia scelta per anticipare la pubblicazione della loro prima demo. Mi è bastato il riff iniziale per lasciarmi rapire senza opporre resistenza dallo stench-crust con echi thrash metal dei Cimiterium, un sound che grazie anche alla registrazione estremamente primitiva suona molto sporco, ruvido e marcio evocando le stesse sensazioni che si possono avere ascoltando qualche demotape della seminale scena crust punk britannica di Hellbastard, Axegrinder e Deviated Instinct. Sono infatti da ricercare nelle primitive incarnazioni crust della scena inglese le influenze dei nostri, in un tripudio di atmosfere desolate e oscure, ma anche di assalti barbarici votati alla devastazione e intrisi di una furia cieca e implacabile. Se dovessi però fare un solo nome che l’ascolto di questa demo mi ha evocato più e più volte è senza dubbio quello dei canadesi Contagium e del loro splendido (e troppo spesso dimenticato) Archaic, soprattutto nei momenti più apocalittici e nel riffing che non risparmia incursioni in territori prettamente thrash metal. Musicalmente figli di una tradizione e di sonorità che sembrano non smettere di esercitare fascino (almeno su di me), i Cimiterium sono però anche molto attenti a scrivere testi mossi da coscienza politica e da tensioni riottose che si scagliano contro il ritorno dei fascismi e dell’estrema destra (Fascist Nostalgia) o contro la distruzione e il saccheggio dell’ecosistema causate della fame di profitto del capitale spacciata per progresso (Progress). I Cimiterium hanno già annunciato la pubblicazione di un prossimo 7″ con una copertina che richiama gli artwork di Fatum, Swordwielder e compagnia stench-crust, quindi non ci resta che aspettare la crust-apocalisse che verrà continuando ad ascoltare queste sei tracce e preparandoci all’assalto delle macerie che restano di questi tempi bui!