Decivilize, tra la feroce critica anti-civilizzazione e il crust/black metal anarchico, una retrospettiva sul disco degli Storm of Sedition

Degli Storm of Sedition vi ho già parlato su questo blog nel lontano 2019, anno in cui pubblicarono il maestoso Howl of Dynamite, ad oggi ultimo loro album in studio prima di piombare in un silenzio assordante. Scrissi della band canadese cercando di fare un’analisi approfondita di Howl of Dynamite e delle tematiche trattate nelle liriche delle varie canzoni, fortemente collegate l’un l’altra come a voler formare un vero e proprio concept album che ruotava intorno alle idee anarchiche più individualiste e nichiliste e a pensatori libertari del calibro di Renzo Novatore. Quel disco l’ho divorato nel corso degli anni, rimanendo ad oggi uno dei miei ascolti preferiti e a cui sono legato particolarmente per via dei temi, delle riflessioni e delle tensioni contenuti nelle otto tracce e espresse con rabbia dagli Storm of Sedition.

Perchè questo cappello introduttivo? Perchè proprio in questi giorni ho rispolverato un altro grande album dei nostri punx anarchici provenienti dai territori Lekwugen occupati della British Columbia, quel Decivilize apparso sulle scene nell’ancor più lontano 2016 grazie all’impegno di Profane Existence e Neanderthal Stench e che nel corso di questi anni ho ascoltato e riascoltato fino allo sfinimento, fino a quasi consumarne fisicamente il vinile. E visto che sento più che mai la mancanza di band, progetti, realtà e collettivi punx capaci di utilizzare la musica come mezzo per veicolare qualcos’altro, dai messaggi alle pratiche, dalle tensioni alle riflessioni, ho iniziato a ragionare sull’idea di scrivere un approfondimento sotto forma di retrospettiva su questo disco, sui suoi contenuti e sui testi scritti dagli Storm of Sedition. Perchè se Howl of Dynamite aveva come focus principale l’anarchismo individualista e le idee eretiche di anarchici nichilisti come Novatore o Stirner, Decivilize affondava le sue radici in una feroce e spietata critica alla civilizzazione, all’idea di progresso, alla tecnologia e all’addomesticamento degli animali umani, non umani e della natura, tematiche che ritengo più attuali che mai in questa epoca denominata Antropocene di cambiamenti climatici, distruzione ambientale, estrattivismo di risorse e devastazione degli ecosistemi, di cui pagheremo presto le nefaste conseguenze. Una critica che risente dell’influenza degli scritti di pensatori dissidenti, controversi (per alcuni) e blasfemi come Kevin Tucker, Wolfi Landstreicher, Paul Shepard e Fredy Perlman. Buona lettura e che i germi di queste idee possano infettare le vostre menti, sperando che quanto verrà scritto possa essere davvero un contributo alla lotta dei e delle punx, pronti ad essere discussi, corretti e sopratutto messi in pratica senza perdere tempo.

Su una base musicale che trova il perfetto punto di incontro tra sonorità crust punk, anarcho punk e black metal, chiamando in causa le influenze innegabili degli Iskra (con cui condividono alcuni membri), dei Nausea e dei Contravene, gli Storm of Sedition costruiscono e sviscerano la loro ferale e rabbiosa critica anarchica e anticivilizzazione attraverso dieci tracce che non conoscono momenti di quiete o debolezza, avanzando nel loro incedere impetuoso verso la distruzione totale di questo mondo e delle sue istituzioni. L’album si apre con Deurbanize, traccia che fin dal titolo mostra chiaramente l’attacco nei confronti della vita urbana e dell’urbanesimo come prodotto autoritario della civilizzazione e della società industriale; una vita urbana che deteriora le nostre esistenze, aumenta la povertà, la violenza e lo sfruttamento e continua a riprodurre un sistema fondato sull’autoritarismo, allontanandoci sempre di più dall’ambiente naturale costruendo quella dicotomia tra Natura e Cultura che è al centro della civiltà occidentale, dalla rivoluzione neolitica al realismo capitalista attuale. La critica mossa dagli Storm of Sedition all’urbanesimo e alle città può in qualche modo riportare alla mente un approccio situazionista, anche se i nostri preferiscono rimanere sulle coordinate anti-civilizzazione, sottolineando come sia giunto il momento storico in cui abbandonare gli agglomerati urbani, liberare i territori dall’oppressione architettonica e dalla gestione degli spazi della civiltà urbana, decentralizzarsi costruendo collettività al di fuori delle dinamiche alienanti dell’esistenza urbana, capaci di organizzarsi per creare potenziali minacce di rivolta contro la civilizzazione industriale e capitalistica. Le città viste come vere e proprie gabbie di cemento e ferro atte all’addomesticamento dell’essere umano, costruite per soddisfare i bisogni della società industriale e per opprimere ogni tensione e desiderio. Ma dato che la civilizzazione non ha avuto successo ovunque in una sola volta, la sua rovinosa caduta potrebbe verificarsi in misura diversa in luoghi differenti e lontani e in tempi completamente diversi.

Il disco prosegue con Mechanism of Defense, un’attacco spietato nei confronti di ciò che loro definiscono “sinistra autoritaria” o “autoritarismo di sinistra” che può essere incarnato da diverse ideologie legate al marxismo-leninismo e alle sue derivazioni, definite come una macchina a difesa del sistema e uno strumento usato dallo Stato. D’altronde gli Storm of Sedition non hanno mai nascosto che l’intento con cui è nato il loro progetto è stato quello di diffondere le idee anarchiche più insurrezionali, nichiliste e per certi versi eretiche all’interno di una scena punk che vedevano come sempre più inoffensiva e mancante di certe tensioni e ideali. Il tema centrale attorno a cui prende forma Mechanism of Defende verrà poi ripreso e ampliato in altri brani presenti su Howl of Dynamite, come la titletrack e Vanguardist Messiah. DA APPROFONDIRE

Distruggiamo la civiltà, questa rete di dominio, ma non in nome di un modello, di una morale ascetica del sacrificio o di una disintegrazione mistica in una presunta unità inalienata con la natura, bensì perché la riappropriazione delle nostre vite, la ricreazione collettiva di noi stessi come individui incontrollabili e unici nella distruzione della civiltà – di questa rete di dominio vecchia di diecimila anni che si è diffusa su tutto il globo – e l’istituzione di un meraviglioso e spaventoso viaggio verso l’ignoto che è la libertà.” Queste parole scritte dall’anarchico anti-civ Wolfi Landstreicher fanno da appendice al testo di Natural Chaos, terza traccia dell’album, una traccia che si scaglia contro la “rete della domesticazione” intesa come tutte quelle dinamiche, strutture di pensiero, infrastrutture mentali e materiali appartenenti alla civilità industriale e capitalistica atte ad addomesticare i desideri e le tensioni reali degli esseri umani e la loro selvatichezza istintiva. L’addomesticamento come processo di annullamento, violenza e controllo, non diversamente da quanto abbia fatto (e continua a fare) il colonialismo e l’educazione scolastica, un processo di potere volto all’annichilimento degli individui essi siano popoli indigeni, bambini o l’animale umano nella sua interezza. Le riflessioni di Wolfi Landstreicher sono ancora attuali e penso meritino attenzione, sopratutto per via del suo approccio di critica alla civilizzazione senza scadere nel primitivismo più cieco, ma anzi criticandone senza nascondersi certi ragionamenti e certe contraddizioni intrinseche.

Un’altra delle tracce più interessanti dal punto di vista lirico e della tematica affrontata è a mio avviso Education is Colonization, brano che si apre con queste parole: “civilization domesticates and colonizes, appropriating and creating resources to maintain its socio-economic relationship and structure” e che prosegue con un altra frase densa di spunti di riflessione e ragionamento come: “schools serve the same function as prisons, children are isolated for years, tamed, possessed and controlled, their freewill eradicated.” Non è difficile che questi estratti così come tutto il testo possano evocare molte riflessioni legati alla pedagogia libertaria o le critiche alla scuola più lucide di un pensatore come Ivan Illich e di un testo fondamentale come Descolarizzare la Società; ma attenendoci a quanto scritto dagli Storm of Sedition sembrerebbe che la principale influenza per la stesura di questo brano, a livello lirico e concettuale, sia da ricercare nello scritto di Layla AbdelRahim intitolato Education as the Domestication of Inner Space. Layla AbdelRahim è un’antropologa comparatista e autrice anarco-primitivista di origini russe e sudanesi che, nel corso degli anni, si è occupata dei temi della civilizzazione, della natura selvaggia, dell’addomesticamento e della critica ai modelli educativi tradizionali, da una prospettiva anarchica, anticivilizzatrice e primitivista. Per approfondire il suo pensiero e le sue tesi, consiglio due suoi saggi intitolati Children’s Literature, Domestication, and Social Foundation: Narratives of Civilization and Wilderness e Wild Children – Domesticated Dreams: Civilization and the Birth of Education. Il pensiero di Layla AbdelRahim è tanto provocatorio quanto attuale, utile per ripensare e mettere in dubbio interamente le dinamiche e le strutture del sistema sociale, economico e politico che domina le nostre esistenze. Che il sistema educativo e scolastico occidentale e bianco sia stato usato come e abbia rappresentato una delle armi più brutali e feroci della colonizzazione, ne sono inoltre un esempio eclatante gli avvenimenti accaduti sui territori canadesi e statunitensi ai danni delle popolazioni indigene e venuti alla ribalta negli ultimi anni con il ritrovamento di fosse comuni in cui venivano seppelliti i corpi dei bambini nativi nei pressi delle scuole residenziali cattoliche. L’educazione scolastica come mezzo per annullare la cultura indigena, distruggerne l’identità e cancellarne storia e lingua, per assimilare gli individui ad un sistema economico, sociale e culturale industriale e capitalistico, bianco e occidentale.

In Feral Revolt, penultimo brano di Decivilize, i nostri e le nostre punx anarchiche canadesi sembrano riprendere certe idee e riflessioni di Kevin Tucker, anarchico primitivista e anti-civ autore di differenti testi e pubblicazioni. Come spiegato perfettamente dagli Storm of Sedition, questa canzone parla della necessità di rivoltarsi contro l’ordine civilizzato nel tentativo di diventare individui liberi e selvaggi, di minare il nostro addomesticamento e di confrontarci con le sue reti e i suoi apparati di sfruttamento, dominazione e controllo. Continuando a saccheggiare le loro parole, il testo di Feral Revolt vorrebbe cercare di incoraggiare le persone a resistere e distruggere la civilizzazione, sia materialmente che in tutti quei modi, inconsci o meno, con cui la riproduciamo nelle nostre vite quotidiane, nelle nostre relazione, nelle nostre dinamiche. Perchè abbiamo bisogno di resistere alle catene morali e ideologiche della società industriale, abbracciare la possibilità dell’azione illegale e abbandonare una volta per tutte la vita urbana, re-inselvatichendoci, resistendo e reagendo alla civilizzazione, alle sue strutture e alle sue lunghe catene dell’oppressione; sviluppando e condividendo tattiche, teorie e strategie per sradicare la civilizzazione e guadagnare la completa autonomia dal suo dominio e dal suo sfruttamento, per donarci alla gioia di vivere e ad un’esistenza non addomesticata libera e selvaggia.

La spietata critica nei confronti del Progresso e della “His-story”, e quindi dello Stato come entità che si è imposta catturando, assoggettando, assimilando e reprimendo tutto ciò che era altro da se come forma di organizzazione sociale, politica ed economica, trova la sua conclusione in Leviathan, brano posto a chiusura del disco. Il testo del brano è deliberatamente ispirato dall’opera Against His-story/Against Leviathan di Fredy Perlman, scritto nel 1983 con l’idea di ri-narrare o di riscrivere la storia dell’umanità come una lunga e difficoltosa lotta tra le persone libere e lo Stato-nazione che, riprendendo la filosofia di Hobbes, viene identificato come il Leviatano. Un testo che è divenuto nei decenni fondamentale come base per lo sviluppo del pensiero dell’anarchismo verde e successivamente di quello anticivilizzazione e primitivista.

Nel testo emergono in maniera netta e incendiaria le tensioni insurrezionali e di resistenza allo Stato-nazione e alla sua secolare storia di “civilizzazione” che si è sempre perpetuata attraverso uno schema fisso e ripetuto, le cui tappe son riscontrabili nell’inganno, nella cattura, nella dominazione, nell’accumulazione, nell’annichilimento e nel declino. La domanda da porsi non può essere quindi se lo Stato, la civiliazzione, il progresso crolleranno da sè prima o poi, ma come e cosa fare affinchè il collasso del Leviatano possa trovare un inizio nella pratica del qui e ora, senza affidarsi a quelli che gli Storm of Seditions chiamano “i profeti della rivoluzione“, arroccati nella convinzione che le condizioni ideali per la rottura rivoluzionaria emergeranno prima o poi, ma che in realtà vengono proiettate sempre in un orizzonte di tempo lontano dal presente, rimandando il momento dell’attacco, della rivolta o dell’insurrezione e di conseguenza della rottura con lo stato di cose presenti. La risposta da darsi si rivolge quindi alla pratica, al rifiutare, evadere e attaccare in ogni luogo e in ogni momento questa prigione di addomesticamento che è il Leviatano e tutti i suo falsi miti di civilizzazione e progresso, perchè solo così si può interrompere il suo ciclo di decadenza, ricomposizione e rafforzamento che gli permettono di continuare ad imporsi e apparire come impossibile da sconfiggere.

Conobbi le persone (non mi piace chiamare membri individualità che ritengo affini e complici) degli Storm of Sedition in una piovosa sera dell’ottobre 2019 quando suonarono in Villa Vegan, durante il loro tour europeo. Di quella sera ricordo come fosse ieri le interessanti chiacchiere e i confronti con loro sui temi fino a qui trattati, così come sul tema della repressione che tanti di noi subiscono a causa della partecipazione e del supporto a svariati percorsi di lotta, da quella anticarceraria a quella anticoloniale in territorio canadese, da quella contro le frontiere a quella contro la costruzione di oleodotti e grandi opere. Ed è qui che toccai con mano quell’affinità di idee, parole e azioni con gli Storm of Sedition che avevo sentito leggendo i testi di Decivilize e Howl of Dynamite e ascoltando la loro musica. Perchè i e le compagnx che stanno dietro al progetto Storm of Sedition non si limitano a scrivere testi incendiari e a suonare crust punk feroce e anarchico, ma sono prima di tutto attivi nelle lotte dei loro territori e per questo hanno subito la repressione poliziesca dello Stato e sono stati sotto sorveglianza. Ed è per questo allora che la loro rivolta selvaggia espressa in musica si fa strumento concreto di diffusione di idee sovversive e pratiche insurrezionali, di critica radicale e di tensioni di rivolta, fungendo da mezzo di un fine che è la lotta anarchica anticivilizzazione e contro il capitalismo. Decivilize è un disco che va letto, discusso e messo in pratica, prima, dopo e durante l’ascolto.