In the Name of Suffering…

Tre dischi, tre recensioni, tre gruppi accomunati da una passione viscerale per lo sludge più marcio, fangoso e disturbante che possiate mai immaginare. Rumore che distrugge, che destabilizza, che annichilisce e che cerca in ogni modo possibile di seppellire vivo chiunque inciampi in questa palude infernale e che lascia solamente una possibilità: lasciarsi inghiottire, lasciarsi divorare. Desistete dal futile sforzo di sopravvivere, lasciate che le vostre urla di dolore e disperazione riecheggino in ogni dove e sperate che possano fungere da monito per i secoli a venire. In the name of suffering

I Grime sono un gruppo nato a Trieste nell’estate del 2010 che si prefigge come unico obiettivo la distruzione più totale e l’annichilimento estremo delle nostre vite, muovendosi sottoforma di una valanga informe e putrida di fango che inghiotte e divora tutto e tutti lasciando dietro di se solamente macerie e dolore. In questo loro ultimo “Circle of Molesters” pubblicato nel 2015, dimostrano di non essere il classico gruppo che album dopo album si limita a ripetere se stesso o un gruppo che si limita a riproporre senza troppe sfumature un sound preciso riconducibile ad una tradizione sonora monolitica e immutabile. Impossibile negare che le radici del suono dei nostri siano ben ancorate nella tradizione fangosa e marcia dello sludge metal più malato di grupponi mai troppo incensati quali Noothgrush o Dystopia, o di maestri del calibro degli Eyehategod e di gentaglia dimenticata come i Grief o gli Acid Bath, ma su questo ultimo lavoro si può notare anche una marcata influenza doom/death metal tanto cara a gentaglia putrescente come Asphyx e Coffins e che nei momenti più rallentanti e sulfurei costruisce un’atmosfera opprimente e destabilizzante che mi ha ricordato alcune cose fatte dai mitici Vallenfyre; tutto questo rende per fortuna originale e mai scontata la proposta dei Grime, difficilmente etichettabile con questo o quell’altro genere talmente tante sono le sfumature presenti nelle otto tracce che tenteranno di trascinarci giù negli abissi della palude nella quale siamo rimasti bloccati addentrandoci nell’ascolto di questo “Circle of Molesters”. In nome della sofferenza e della disperazione, il marcissimo e soffocante sludge dei Grime cercherà in tutti i modi di annichilirvi e corrompere quel briciolo che rimane della vostra sanità mentale.

 

A quanto pare dalle aride terre dell’entroterra algherese sono germogliati i semi dello sludge più pesante e sulfureo, che poi sono le prime caratteristiche che saltano all’orecchio avventurandosi nelle viscere di questo “West”, esordio per i sardi Greenthumb, gruppo che non solo prende in prestito il nome da uno dei più iconici brani (di cui troviamo ovviamente una cover proprio su quest’album) scritti dai Bongzilla ma che sembra aver inoltre imparato a memoria la lezione impartita dal gruppo di Dixie e compagni tanto da essere in grado di suonarne una versione ancora più schizofrenica, claustrofobica e con chiari rimandi, sapientemente sparsi qua e là nelle quattro tracce che compongo questa prima fatica, all’hardcore punk più corrosivo e violento. Certamente non ci troviamo dinanzi ad un lavoro che ha tra i suoi punti di forza l’originalità, ma il rumore opprimente che ci violenterà senza rispetto le orecchie fino a tentare di penetrare negli abissi più oscuri del nostro encefalo dimostra che i nostri sono abilissimi artigiani nel maneggiare un genere, o meglio un’attitudine, come lo sludge che negli ultimi tempi sta trovando sempre più adepti in Italia. Il sulfureo mix tra sludge, hardcore e influenze stoner racchiuso nei 21 minuti di questo West ci da una perfetta idea del sound of suffering che caratterizza questo esordio dei Greenthumb! In nome della sofferenza, ci ritroveremo quindi a vagare verso Ovest tra carcasse di animali corrosi dal tempo e aridi paesaggi nei quali regna solamente l’odore marcio della morte incombente. Provare a sopravvivere o lasciarsi travolgere, i Greenthumb non ci lasciano altra opzione.

 

Vi siete mai domandati come potrebbe suonare una creatura nata dall’incrocio dello sludge schizofrenico, angosciante e nichilista venato di hardcore degli Eyehategod e dalla primordiale lezione doom dei maestri Black Sabbath rivisitata e resa ancora più oscura e sulfurea dall’approccio dei Saint Vitus? Come suonerebbe questo caotico vortice generatore di morte se ci aggiungessimo tutta l’immediatezza espressiva e l’attitudine in your face dell’hardcore fangoso dei Black Flag di “My War”? Come suonerebbe il tutto se ci aggiungessimo anche una voce che assomiglia ad un lamento cavernoso ed infernale e che ricorda le vocals barbare dei Conan e allo stesso tempo le urla strazianti dei Deadsmoke? E se il sound che stiamo delineando fosse attraversato dalle pulsioni apocalittiche e fosse debitore delle atmosfere opprimenti create dal post-metal dei Neurosis? Il tutto suonerebbe come i Sator e come “Ordeal”, ultimo lavoro in studio per il gruppo genovese. Un muro di suono pesante, opprimente, sporco e oscuro costante per tutte e cinque le tracce presenti sull’ottimo disco, tracce che hanno una durata media abbastanza sostenuta visto che si aggirano attorno ai nove minuti e che lasciano intravedere solo pochissimi spiragli di luce e di quiete latente quando emerge l’anima più psichedelica dei Sator. Come non parlare poi dell’intensa e conclusiva Funeral Pyres, un viaggio infernale e tenebroso in cui ci si ritrova persi in trance a danzare insieme ad anime dannate, osservandosi dall’esterno mentre si viene inghiottiti dall’oscurità e dai suo orrori, mentre si viene accompagnati verso il letto di morte dalle cavernose e disturbanti grida di Valerio, growls lancinanti e demoniaci che non lasciano via di fuga e nessuna possibilità di redenzione. In balia dei Sator e delle loro pulsioni sludge/doom funeree e opprimenti, ci resta solamente un ultimo soffio di vita prima di scomparire divorati dalle tenebre.