“La Rabbia di un Mondo che sta Morendo” – Intervista ai Caged

Settimana scorsa hanno arrestato alcuni compagni e alcune compagne a Bologna nel corso dell’operazione chiamata “Ritrovo”. In occasione di questo ennesima azione repressiva dello Stato ai danni di coloro che quotidianamente e concretamente lottano contro questo esistente alienante e contro un sistema economico che sfrutta e opprime le nostre vite, i Caged, gruppo bolognese/imolese, ha deciso di prendere posizione netta in solidarietà con i/le compagn* arrestat* pubblicando su bandcamp un brano inedito i cui ricavi saranno benefit a supporto delle spese legali. Partendo proprio da questo fatto ho contatto i Caged per affrontare alcune questioni di fondamentale importanza e attualità nell’agire politico di tutti noi che hanno preso la forma dell’intervista/chiacchierata. Le parole dei Caged ribadiscono che l’hardcore va oltre la musica e deve essere ancora oggi una minaccia per questo esistente fatto di gabbie e sfruttamento! Con la rabbia di un mondo che sta morendo, in solidarietà e complicità con i compagni e le compagne arrestate a Bologna e con tutti coloro che subiscono la repressione statale ogni giorno, affinché delle galere, e di questo mondo di merda, rimangano solo macerie!

Libertà per Stefi, Elena, Nicole, Emma, Ottavia, Duccio, Guido, Zipeppe, Leo, Martino, Tommi e Angelo!

Ciao ragazz*, voglio iniziare questa intervista partendo dalla vostra ultima iniziativa benefit, ovvero la pubblicazione di un nuovo brano su bandcamp a sostegno dei compagni e delle compagne arrestate a Bologna nel corso dell’operazione repressiva chiamata “Ritrovo”. Come mai questa scelta? Volete parlarne?

Ciao Stefano, innanzitutto grazie per averci incluso nella tua webzine. Sin da quando siamo andati a registrare il nostro primo EP l’agosto scorso abbiamo deciso di tener fuori una canzone da utilizzare diversamente; dopo qualche tempo abbiamo deciso che l’idea migliore sarebbe stata utilizzarla per sostenere delle cause che ci stanno a cuore.
Inizialmente avevamo deciso di aiutare un/a compagn* che fosse dentro per atti legati alla liberazione animale, umana e della Terra, in linea con il testo della canzone, ma dopo l’arresto dei/le compagn* abbiamo ritenuto opportuno aiutare loro. Quando la situazione
cambierà il brano rimarrà benefit come è attualmente, cambiando a chi verranno destinati i soldi.

Legata alla prima domanda, quanta importanza pensate abbiano le varie compilation o concerti benefit per le spese legali di coloro che si oppongono a questo sistema economico e politico?

L’organizzare concerti benefit o altre iniziative di solidarietà nella scena hardcore punk ha diversi lati positivi. Tanto per cominciare permette di parlare della questione anche a persone che diversamente, magari, non sarebbero venute a conoscenza di una data situazione. Quindi allargare la solidarietà. Inoltre, questo processo di diffusione dei motivi della causa, può permettere un dibattito all’interno della scena stessa e degli ambienti che vive e frequenta, arricchendola di contenuti. Senza contare il contributo in denaro, seppur minimo, alle spese legali dei prigionieri/indagati, che non è da sottovalutare. Per concludere non bisogna soffermarsi solo ed unicamente sul lato economico di tali iniziative e quindi costringersi in un mero ragionamento costi/benefici, ma allargare gli orizzonti della solidarietà e trasformarla in un’occasione di confronto, dibattito, aggregazione e diffusione di determinati messaggi.

Per quanto mi riguarda l’hardcore non è soltanto musica ma un mezzo per lanciare messaggi e minacciare, anche concretamente con l’azione diretta, questo esistente capitalista che si basa sullo sfruttamento, sulla repressione e sull’oppressione delle nostre vite. Qual è la vostra idea in merito alla questione “hardcore non è solo musica”?

Siamo perfettamente d’accordo sul ruolo che riveste l’hardcore con i suoi messaggi all’interno del contesto sociale e politico dentro al quale si inserisce. E’ neccesario anche ribadire che riempire un genere musicale di significato a livello di contenuti non è l’unica
cosa pratica che possiamo attuare nella nostra vita per contrastare l’esistente.. la sostanza dell’agire rimane sempre la via più diretta per opporsi a quello che combattiamo.
L’hardcore è musica, ma non solo! L’hardcore punk è sempre stato caratterizzato da messaggi di disagio e rabbia sociale. Inoltre, chi ha vissuto e vive la scena e i suoi spazi ha sempre avuto la possibilità di esprimere sé stesso, all’interno di un contesto sensibile a numerose tematiche, dall’antirazzismo all’antiautoritarismo. Nonostante le contraddizioni che ancora esistono, la scena hardcore rimane una nicchia all’interno di questo mondo dove la sopraffazione dell’uomo sull’uomo, l’avidità, l’individualismo di stampo borghese, ne fanno
da padrone. Tutto ciò, è possibile per l’appunto perché nell’hardcore punk l’aspetto politico e di critica sociale sono fondamentali, tanto quanto la musica.

Vi definite un gruppo straight edge e vegano, cosa significano per voi queste due nette prese di posizione etiche e politiche? Quanto è importante nelle vostre vite la lotta antispecista legata alla scelta dell’essere vegani?

Sì, siamo straight edge e vegani e la band spinge le tematiche relative a queste prese di posizione. Siamo convinti che ognuno di noi possa fare la differenza, attraverso le scelte che vengono intraprese durante il corso della vita. Ogni persona può essere fondamentale,
soprattutto nella lotta. La società nella quale viviamo ci convince ogni giorno che non contiamo niente, se non nei contesti nei quali la nostra produttività può apportare maggior profitto al padrone di turno. Ci hanno isolati, parcellizzati. Hanno dilaniato ogni lotta,
reprimendola e slegando ogni legame di solidarietà, alimentando qualsiasi mezzo che diffondesse alienazione e miseria culturale.
Non staremo ad elencare cosa rappresenta la droga (dagli psicofarmaci, alla cocaina e all’alcol) in questo mondo, dalle sue funzioni di controllo sociale fino ai risvolti nel mercato capitalistico e nell’industria della guerra. Basta aprire gli occhi e problematizzare la
questione. Prendere coscienza, che anche il consumo ha un peso sulle vite di altre persone. Noi in questo senso abbiamo fatto una scelta, che per quanto sia personale, è di tipo politico.
Lo stesso, in altri termini, vale per il veganismo. Per noi l’industria della carne, come lo stesso sistema di produzione capitalista, è un cancro, che sta divorando animali, lavoratori e la Terra stessa. La nostra scelta è una presa di posizione rispetto a tutto ciò e rispetto a tutti i settori dell’industria e della ricerca scientifica che considerano gli esseri viventi come una merce, animali e non. L’antropocentrismo che è insito nella nostra civiltà occidentale è un male, che ha portato alla distruzione di interi ecosistemi, all’estinzione di numerose specie animali e pare esser diventato una seria minaccia alla sopravvivenza della nostra stessa razza umana. La situazione è grave e bisogna prendere posizione, non solo per empatia verso gli altri esseri viventi che continuano ad esser sfruttati impunemente, ma anche per rifiutare coscientemente questo stato di cose attuali e rendersi conto che le proprie scelte di vita hanno un peso sostanziale, unite all’azione, all’attivismo nelle proprie realtà.
Ultimo ma non meno importante : essere vegan a livello di scelta alimentare non ha alcun risvolto nella lotta antispecista perchè il mercato è in grado di assorbire qualsiasi forma di “boicottaggio” consumistico integrandola nella propria fetta di offerte. Avere il menù vegano a portata di mano non deve essere il nostro obbiettivo nella lotta dobbiamo puntare alla distruzione di tutte le gabbie fisiche e mentali che permettono a questo mondo di perpetuare lo sfruttamento.

Il vostro nome significa letteralmente “imprigionati,” quindi non stupisce che voi vi schieriate apertamente e nettamente contro ogni forma di gabbia e carcere, tanto per gli esseri umani quanto per gli animali. So che è una domanda molto ampia e a cui sarà probabilmente difficile rispondere, ma qual è la posizione dei Caged in merito alle carceri, alla repressione statale e alle gabbie di ogni sorta?

Cosa si può pensare delle gabbie. Possiamo concordare sul fatto che siano oggetti o strutture il cui fine ultimo è la privazione della libertà di un individuo, a prescindere dalle valutazioni di merito sulle motivazioni che partano alla loro creazione e sul loro utilizzo. La
nostra posizione rispetto al carcere parte quindi da questo assunto e dalla domanda: è giusto punire una persona con la privazione della libertà, per aver violato la legge? Il dibattito anticarcerario è davvero molto vasto e in queste poche righe c’è il rischio di banalizzare
l’argomento, che è molto complesso. Sicuramente, troviamo nel carcere il simbolo di questa società, sia per l’organizzazione gerarchica della struttura, sia per il tipo di controllo coatto
che viene esercitato sui detenuti, sia per la composizione sociale di questi ultimi. Inoltre, l’argomento del carcere apre anche un dibattito su che cosa è la Legge, chi la crea, chi difende e come viene fatta rispettare. Una serie di quesiti, che trovano nelle risposte ad esse un unico filo conduttore: l’ingiustizia di questo stato di cose. Alexander Berkman affermava: It is the system, rather than individuals, that is the source of pollution and degradation. My
prison-house environment is but another manifestation of the Midas-hand, whose cursed touch turns everything to the brutal service of Mammon. (in Prison Memoirs of an Anarchist,
1912)
Per concludere vorremmo sottolineare che i compagni arrestati e indagati per l’operazione “Ritrovo” sono stati perseguiti anche per varie iniziative a carattere anticarcerario e contro i Centri di permanenza per i rimpatri degli immigrati “clandestini”. Fatto che fa riflettere su come certi argomenti siano molto sensibili in un sistema che basa la propria autorità sulla coercizione e sul monopolio della violenza.

Fate parte della scena hardcore, un genere musicale che da sempre è
connotato da una profonda vena politica e che ancora oggi convive conpratiche fondamentali come occupazioni, autogestioni o autoproduzioni.
Che ruolo rivestono nel vostro progetto pratiche come il DIY o
l’autogestione?

Per noi il DIY e l’autogestione sono inscindibili dal nostro vivere questa musica. A partire dalle salette prove che abbiamo frequentato, fino alla pubblicazione del disco. Non è neanche una presa posizione, ma proprio un naturale approccio in quello che facciamo. E’ un modo diverso di affrontare la realtà ed è parte del nostro quotidiano: ognuno di noi, con le sue possibilità e i suoi tempi, cerca di farne una pratica costante. non solo per il gusto di creare le proprie mani, ma soprattutto per una scelta di consumo differente.

Passando al lato musicale, non son moltissimi i gruppo in Italia oggi a
suonare un Metal-hardcore novantiano come fate voi. Da dove viene
l’idea di suonare proprio questo genere? Quali sono i gruppi a cui vi ispirate?

L’idea nasce dai nostri gusti musicali, volevamo fare qualcosa che portasse avanti tematiche importanti attraverso i generi musicali che ci piacciono. Ovviamente il cantato e la musica riflettono la rabbia per lo stato attuale di cose, la necessità di un cambiamento e una “chiamata alle armi” per esso. Alcuni dei gruppi che significano molto per noi sono: Morning Again, Chokehold, Seven
Generations, xRepentancex, Ecostrike, Magnitude.

Pensate che, politicamente e nelle lotte concrete che siano anti-carcerarie, antispeciste, ecc, l’hardcore abbia ancora molto da dire o abbia in sé un potenziale rivoluzionario e/o insurrezionale?

L’hardcore ha molto da dire, se le persone che lo animano hanno ancora la necessità di comunicare qualcosa su questi temi e se ce ne sono altre che sono ricettive a questi messaggi. L’hardcore punk è un organismo che senza le cellule che lo rendono vivo, muore e perde di senso. Attualmente, il suo potenziale è molto basso, perché viviamo in una situazione sociale stagnante. Però finchè ci saranno persone pronte ad alzare la voce e a battersi per quello in cui credono, ci sarà sempre speranza. Questo non vale solo per una scena musicale, ma per tutti gli ambiti della nostra quotidianità.

Per concludere, come vedete voi l’hardcore? Cosa significa per voi suonare hardcore? Che obiettivi vi ponete come gruppo e cosa volete trasmettere con i vostri testi?

In parte crediamo di aver già risposto a questa domanda, con ciò che abbiamo detto di
sopra. Quello che ci proponiamo come band è sicuramente dare voce a chi non ne ha. Far
emergere la voce di quegli oppressi, umani e non, che ogni giorno vengono sfruttati e uccisi
dalla macchina di morte capitalista. Quindi sensibilizzare più gente possibile a certi
argomenti, con la speranza, infine, di creare una nuova consapevolezza. Infatti, per noi il
processo di autodeterminazione di un individuo è il primo passo verso un percorso di
attivismo contro questo stato di cose presenti.
Infine, come band supporteremo tutte le cause e le situazioni di compagni, nei limiti
dell’umano.
Grazie ancora dell’intervista!

Grazie a voi carissim* Caged!