“Questa volta spero davvero venga la guerra”

Coprifuoco, proclami da tempi di guerra, tempi di merda. L’inverno alle porte, gli alberi nudi, abbandonati a se stessi e impotenti. Mattine gelate in stanze gelate, in un posto qualunque tra una Milano antartica e la Siberia, in nessun posto degno di nota tra le mie vertebre arrugginite e le nostre parole glaciali. Guardo fuori dalla finestra appannata una città desolata, fredda e spettrale, mentre vengo intrappolato da ragnatele che hanno più dei miei fottuti anni. Anche oggi colazione a base di rabbia e disperazione, di silenzi angoscianti e illusioni. Il futuro è un fucile carico di sogni infranti puntato alla mia testa.  Oggi come ieri. Ieri come domani. Un loop che sembra non avere fine, in cui ripeto gli stessi movimenti rimanendo immobile, illudendomi di andare avanti, verso chissà dove, come se facesse differenza la meta o come avesse importanza la direzione. Come fossi sempre intrappolato in quelle ragnatele che son lì da prima di me e sicuramente resteranno lì ad adornare quella gelida e sporca finestra dopo di me. Dove cazzo andremo quanto tutto brucerà? Dove cazzo andremo quando non ci sarà più nulla da bruciare? Finirà mai questo incubo? Prigionieri del dolore e del potere, di paranoie e repressione. Attimi di silenzio si susseguono interminabili, flussi di parole creano vortici mostruosi che ci allontanano e ci inghiottono in gesti ripetitivi privi di passione. Azzannami alla gola, recidi le radici della mia inquietudine. La fuori regna la follia, lo sappiamo bene, per questo ci rintaniamo nei nostri spazi sicuri, nei nostri mondi fantastici, nei nostri labirinti del fauno, cercando di fuggire dalla normalità di un mondo condannato alla sofferenza, abbastanza lontani da illuderci di non sentire le grida. Questo non è il nostro mondo e non lo è mai stato. Psico-militari nelle strade a difesa di un futuro preconfezionato che non abbiamo mai scelto, tantomeno sognato. Esistenze incompatibili, imprevisti senza nessuna certezza. Una realtà da sovvertire, una quotidianità da disertare. Ma fa buio e giunge la notte, un silenzio opprimente e surreale cala sulla città dei vivi morenti, così abituati alla morte da non esser più capaci di immaginarsi la vita, così abituati all’obbedienza da non essere più in grado di immaginarsi la gioia della rivolta. La lancetta segna le 22, scatta il coprifuoco. Che senso ha vivere nell’incubo delle nostre prigioni perfette? Questa volta spero davvero venga la guerra.

(Questo notturno ha preso forma durante l’ascolto dei Grazhdanskaya Oborona, dei Political Asylum e dei Wretched)