Restos Humanos – 1755 (2022)

Mattina del primo novembre del 1755, un devastante terremoto scuote la terra su cui sorge la città di Lisbona e ne lascia solo macerie. Una magnitudo di 8,5 che rase al suolo più della metà della capitale portoghese causando trenta mila vittime. Un evento tragico e traumatico di portata enorme, un evento che ha segnato la storia non solo portoghese ma anche europea dell’epoca. E’ proprio attorno a questo avvenimento che si struttura la nuova fatica in studio degli italo-colombiani Restos Humanos intitolato per l’appunto 1755, disco che segna il ritorno sulle scene della band a distanza di sei anni dallo splendido ultimo self titled album. I nostri, già intervistati su queste virtuali pagine nel lontano 2018, tornano a proporci la loro micidiale formula che ancora una volta non ha alcuna intenzione di fare sconti e prigionieri; è infatti un death-grind monolitico, brutale e votato all’assalto quello suonato dai Restos Humanos che, pur non discostandosi molto a livello stilistico da quanto fatto in passato, trova nuova linfa e nuove soluzioni in termini di pesantezza, efferatezza e nell’attenzione per la costruzione delle atmosfere. Accantonate apparentemente le atmosfere da film horror anni 70-80 che avevano caratterizzato i precedenti lavori, soprattutto quelle riconducibili a capolavori come Cannibal Holocaust e al filone cannibale in generale, Juan e compagnia intraprendono la strada verso sonorità più apocalittiche capaci di costruire scenari di morte, desolazione e catastrofismo che ben si sposano con la tematica da cui prende forma l’intero album. In questo senso il death-grind dei Restos Humanos sembra strizzare l’occhio ad un certo approccio crust punk più barbarico e post-apocalittico, invece che ad un grindcore di matrice gore o un death di scuola e di immaginario Mortician o Machetazo, basando la sua intera struttura su un sapiente alternarsi tra midtempo e blast beats tipici del genere, oltre che su un riffing sempre pesante e distruttivo ma altrettanto groovy. Le radici da cui prende vita il suono dei nostri affondano in profondità nella lezione impartita a suo tempo da Terrorizer, certi Bolt Thrower, Repulsion e Autopsy, facendo della ferocia, dell’attitudine tritaossa e dell’urgenza espressiva di matrice punk i propri cavalli di battaglia.

Avventurarsi nell’ascolto di questo disco assume presto le sembianze di una discesa verso la decadenza, la distruzione e la miseria, trovandosi ad indossare i panni di un fantasma che si aggira tra le rovine e corpi agonizzanti; non a caso infatti la traccia con cui veniamo introdotti a 1755 si intitola Preludio da Morte, perchè è la morte e le implicazioni psicologiche che essa porta con se ad accompagnarci per tutta la durata del disco e ad incombere in maniera opprimente sulle nostre esistenze. Inoltre le dieci tracce sono attraversate da una costante, anche se mai messa in primo piano in maniera forzata, critica socio-politica all’umanità e alla sua volontà di assumere i panni della divinità nel rapporto con una natura da plasmare, assoggettare e controllare in maniera ossessiva. La stessa natura che però è capace di improvvisi e incalcolabili stravolgimenti di portata catastrofica e brutale come il terremoto di Lisbona, mettendo a nudo tutte le convinzioni di superiorità dell’uomo, obbligandolo a fare i conti con la propria impotenza e a farlo dubitare del suo rapporto con Dio e la natura.

Un ritorno tanto atteso quello dei Restos Humanos che ancora una volta, nonostante il lungo silenzio discografico, dimostrano di essere uno dei gruppi più validi ad aggirarsi nell’underground estremo italiano, tanto punk quanto metal. 1755 non è solo un preludio di morte o un breviario della catastrofe, ma anche e soprattutto una conferma delle potenzialità e delle capacità dei nostri italo-colombiani e del loro death-grind granitico votato alla devastazione di ogni velleità di rimanere impassibili dinanzi all’orrore dell’esistenza. 1755, l’inizio della fine.