Terminal Filth – Death Driven (2022)

…I finally realize: the mutilation of the body, the bleeding identity, the deaths, the agony, the cloud of fragments, the destroyed communities, the exploited nature, the forgotten dreams, this society, this system, this machinery, these gears, this silence, this war, this systemic ghoul breathing in the fatal binding and unbinding of barbarism and culture is not a burden among others. It is a signifier of humanity, the echo of a path we created, that made us, the crooked line we are walking, straight above the abyss…”

Da un gruppo che cita in maniera netta e orgogliosa le proprie influenze principali fin a partire dal proprio nome, si potrebbe comprendere quale siano i territori musicali a cui attinge questo Death Driven ancora prima di ascoltarlo. Se è palese la citazione alla seminale demo dei Deviated Instinct dell’86, debutto che ha segnato un prima e un dopo all’interno della scena punk mondiale, non dobbiamo però commettere l’errore di bollare i Terminal Filth come una band che si limita a fare un copia-incolla sterile e noioso delle primordiali incarnazioni del crust punk; tutt’altro, perchè lo stench-crust punk suonato dai berlinesi è estremamente ispirato, suonato in maniera impeccabile e mosso da un’attitudine appassionata e sincera, da quattro punx cresciuti vivendo una vera e propria crust as fuck existence e che hanno appreso al meglio la lezione dei maestri del genere, sapendola riprorre in maniera convincente e avvincente come se il tempo si fosse fermato nel 1985 in qualche umido e polveroso squat tra Norwich e Bristol. Niente di nuovo sotto l’oscuro sole del crust, niente di innovativo ne di sperimentale, semplicemente quel classico suono che segna una continuità netta con le primordiali incarnazioni crust punk dell’underground britannico degli anni 80 e con il revival stenchcore degli anni duemila.

I Terminal Filth non disdegnano incursioni in territori metallici, saccheggiando riff e melodie di derivazione thrash e death, per poi costruirci attorno un’atmosfera apocalittica, un paesaggio desolato e oscuro e un’approccio annichilente, furioso e barbarico, che avanza senza sosta verso la totale distruzione delle nostre orecchie e di questo mondo che abbiamo condannato all’estinzione. Vi avevo già parlato con toni entusiastici di loro e della loro prima tape, registrata e pubblicata in tempi pandemici e per questo intitolata Plague Session, e su questo primo capitolo della loro discografia troviamo tre tracce che già avevo potuto ascoltare e recensire come Into the Stillnes (brano con cui si apre Death Driven), Arcanum e l’interessantissima Come and See. Quest’ultima traccia, senza scadere nei soliti clichè di certo “neocrust“, viene introdotta da una melodia di violino capace di dipingere uno scenario in bilico tra epicità, malinconia e desolazione, un breve momento di quiete prima della catastrofe e della devastazione.

In sette tracce (contando intro e outro, liricamente due dei momenti più evocativi del disco) i Terminal Filth dimostrano di saper indossare diversi abiti, quelli più lenti, cupi e oscuri tipici dello stenchcore più classico e dalle tensioni post-apocalittiche e quelli invece più feroci, selvaggi e aggressivi che tradiscono una natura crustcore che sopravvive nel profondo della loro musica, pescando a piene mani dal meglio di band del calibro di Antisect, primi Warcollapse, Hellshock e Filth of Mankind, colmando in maniera ispirata e grandiosa quell’apparente distanza che interorre tra In Battle There Is No Law e Rock’n’Roll Conformity. Senza inventare nulla, i tedeschi hanno dalla loro le idee molto chiare, la passione viscerale e una buonissima dose di personalità, tutte armi che sanno affilare molto bene e mostrarci con estrema brutalità e ferocia, colpendoci con i fendenti letali e con la potenza di mazze da guerra che disintegrano il cranio di tracce spietate come A Voice from Beyond e The Deepest Wound. Non serve dunque rincorrere la novità o l’originalità a tutti i costi quando esistono dischi come Death Driven che tengono in vita nella maniera più sincera, convincente e valida possibile quello che fu lo stenchcore nei suoi primi vagiti e che si incarnò poi nelle primitive manifestazioni crust punk. I Terminal Filth innalzano il nero drappo dello stench-crust sul campo di battaglia disseminato di cadaveri in putrefazione e urlano verso un cielo oscurato da neri fumi che oscurano la luna il crust è vivo, il crust è guerra!”.

…don’t limit yourself to communicate, convey something more, convey the unconveyable… live it, again, once more, till it becomes something else, something worth it, something different, something which makes free, and transforms an end into a beginning.”