Thulsa Doom – A Fate Worse Than Death (2022)

“No gore, no triggers, no Swedish worship”. Con queste parole viene presentato l’attesissimo nuovo disco dei Thulsa Doom, a distanza di troppi anni dal precedente Realms of Hatred che molti cuori aveva rapito e moltissime orecchie aveva fatto sanguinare. A Fate Worse Than Death giunge come fulmine a ciel sereno, visto che personalmente avevo perso le tracce del quartetto romano, tanto impaziente quanto ormai quasi rassegnato a non poter ascoltare più il loro death metal tutto vecchia scuola, tempeste di riff, assalti a lama sguainata e barbariche razzie a destra e a manca. Il nuovo capitolo dei Thulsa Doom riprende esattamente da dove si erano interrotti nel 2018, mostrando come i nostri non abbiano perso nulla ne in termini di istintività selvaggia e urgenza espressiva, da un lato, ne per quanto riguarda la capacità di creare un’atmosfera sulfurea, maligna e per certi versi, forse anche grazie all’artwork di copertina e all’immaginario a cui fanno riferimento a partire dalla scelta del monicker, ad una certa epica guerresca di stampo barbarico. In queste 10 tracce non c’è spazio per scopiazzamenti ai soliti noti svedesi, nè tantomeno tecnicismi fini a se stessi o aberrazioni tipicamente gore, ma solamente la sintesi perfetta di quel suono primordiale di cui son stati fieri portabandiera band come Morbid Angel, Sadistic Intent, i cileni Pentagram e in minor parte anche qualcosa della scuola britannica di Cancer (citazione pare ovvia nella traccia Hang, Drawn and Quartered) e Benediction.

Alcuni momenti del disco sono vere e proprie incursioni in territorio nemico, agguati in nome del saccheggio e della devastazione più selvaggia e spietata, mentre in altri passaggi i Thulsa Doom mostrano un’indole vagamente più ragionata, scegliendo di concentrarsi su rallentamenti, riff e melodie orientate a creare un’atmosfera generale che ha il sapore della quiete prima della tempesta, della desolazione, della miseria e dello sfacelo che dominano sul campo di battaglia appena cessato lo scontro. E’ un disco di death metal barbarico, primitivo, sanguinario e spietato, che sarebbe potuto benissimo esser pubblicato sul finire degli anni ’80 e nonostante questo suona fresco e attuale nel suo incedere con fare guerresco per diffondere come un morbo pestilenziale il verbo del metallo della morte più puro e visceralmente sincero. Non c’è scampo per nessuno dinanzi ad assalti selvaggi del calibro di Cursed Domain Beyond o Order of the Black, così come non c’è alcuna capacità di provare pietà quando sopraggiungono le oscure atmosfere e i rallentamenti angoscianti di Tomb of the Serpent Cult e Lost Portal of Xhul. I Thulsa Doom ci mettono davanti a due opzioni: lasciar il proprio corpo putrefarsi sul campo di battaglia o affogare negli abissi della disperazione e dell’angoscia. A voi la scelta, sapendo ormai che il destino è peggio della morte. Gran ritorno sulle scene per i Thulsa Doom con uno dei dischi death metal vecchia scuola più intensi e validi dell’anno appena passato!