Habak/Lagrimas – Split (2023)

Quando nel 2020 fu pubblicato Ningún Muro Consiguió Jamás Contener La Primavera, gli Habak divennero immediatamente una delle band a cui ho guardato con estrema attenzione, ammirazione e con il batticuore nel corso degli anni. Inutile dirlo, ma quel disco l’ho divorato infinite volte, lasciando che potesse risucchiarmi tra i meandri della bellezza che la band messicana è in grado di creare, facendola sgorgare dalle note, dalle melodie, dalle liriche e da tutto il resto. L’anno scorso mi sono imbattuto in nuovo lavoro degli Habak, questa volta in collaborazione con i Lagrimas, band di Los Angeles a me sconosciuta fino a quel momento, e nonostante mi sia immediatamente infatuato ci ho messo un po’ a trovare le giuste parole e il giusto momento per recensirlo. Uno split album che celebra l’amicizia e l’affinità non solo musicale delle due band, che rende onore all’attitudine do it yourself e alla musica punk intesa nel suo senso più ampio; uno split che è in grado di riportare gloria a tutta quella scena definita neocrust/emocrust degli anni duemila, evocando con maestosità i fasti di band come Ekkaia, Madame Germen o Ictus. Si perchè musicalmente tanto gli Habak quanto i Lagrimas recuperano atmosfere, sonorità e melodie tipiche delle band sopracitate e di tutto quel filone che comprende anche Fall of Efrara e le varie incarnazioni che hanno assunto le idee di Alex CF (Morrow in primis), riuscendo a dare nuova linfa emotiva, politica e poetica a questo preciso modo di suonare e intendere il punk.

Per quanto ai più puristi del crust punk, il collegamento e la vicinanza tra la parola emo e quella crust può far storcere il naso, dovremmo sempre ricordarci che le etichette sono la morte della musica, delle idee e delle tensioni e quindi dovremmo abbandonarle e distruggerle. Perchè si, gli aspetti più interessanti di questo splendido split album vanno da ricercare anzitutto nei testi, nell’attitudine e nelle pulsioni di rabbia e di rivolta che animano e sorreggono la musica, rendendo quest’ultima solamente un mezzo di espressione per la diffusione di idee, parole e riflessioni che si spera diventino fuoco e non si perdano insieme agli sputi dentro ad un microfono, divenendo impotenti tra il sudore e l’umidità di lerci stanzoni. Per fare un esempio della potenza delle liriche delle due band, Nothing to hope for, primo brano del lato dei Lagrimas, parla della mancanza di tempo per i nostri affetti, tempo rubato dal lavoro alienato, tempo che siamo obbligati a dedicare per il profitto dei padroni in quest’epoca di realismo capitalista per sopravvivere. In En la huelga de los acontecimientos, gli Habak ci urlano in faccia tutta la disperazione e la rabbia che nascono dal vivere la catastrofe quotidiana che il sistema capitalistico ha creato e continua ad alimentare: ci vomitano addosso tutto il malessere che si prova quando, pur riconoscendo quali siano i responsabili e le cause del nostro malcontento esistenziale e materiale, ci si sente impotenti e insignificanti nell’affrontarli, nell’attaccarli e nel resistergli. Bello anche lo spoken word che ci accompagna alla conclusione del primo brano degli Habak, Inftinitas noche de vigilia, in cui la band legge un passaggio estratto dalla rivista anarchica/post-marxista Tiqqun e che recita: 

“Il nemico non ha l’intelligenza delle parole, il nemico le calpesta. Le parole bramano il loro posto. La felicità non è mai stata sinonimo di pace. È necessario avere un’idea offensiva della felicità. La sensibilità è stata a lungo una semplice disponibilità passiva a soffrire, ora deve diventare il mezzo stesso del combattimento. L’arte di trasformare la sofferenza in forza. La libertà non ha nulla a che vedere con la pazienza, ma è la pratica concreta della storia. Al contrario, le “liberazioni” non sono altro che l’oppio dei cattivi schiavi. La critica nasce dalla libertà e la fa nascere”. 

Una citazione che manifesta in maniera molto chiara altri aspetti, più emotivi ma altrettanto politici, che trasudano dalla musica di Habak e Lagrimas: la sensibilità come arma, la sofferenza organizzata e collettiva che diventa strumento per dichiarare l’offensiva all’esistente capitalista, le parole, che i nostri nemici vogliono calpestare, che possono diventare fuoco per farla finita con questo esistente di merda e che portano con se le scintille di una vita radicalmente diversa.

A volte ho abusato io stesso di termini e definizioni come “il personale è politico”, ma quando mi ritrovo ad ascoltare band come Habak e Lagrimas, quando mi rimetto a leggere per l’ennesima volta i loro testi, quando riconosco affinità e complicità con le emozioni e le idee espresse nella loro musica, non posso che definire questo album come un disco in cui il personale ed il politico non solo convivono e si alimentano, ma forse fanno semplicemente parte di uno stesso modo di guardare la realtà e di intendere la vita. Un bellissimo disco di crust melodico, emotivo, intimo ma altrettanto incendiario e rabbioso. Ascoltatelo e non ve ne pentirete. Ah giusto, gli Habak suoneranno a Milano il 4 di luglio, mi sembra scontato ricordarvi di non mancare!

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