A Blaze in the Northern Sky #04

In darkness no one reigns, the night has no king, the night has no queen, in darkness no one reigns… (Feminazgul)

Quarto appuntamento con A Blaze in the Northern Sky, rubrica interamente dedicata alle uscite più interessanti in ambito black metal e che ha come unico obiettivo quello di parlare di gruppi, collettivi e individualità impegnati a tenere viva la fiamma nera in un’ottica dichiaratamente e fortemente antifascista, antirazzista e che si oppongono in modo netto e concreto a tutta la feccia nazi, razzista, omo-transfobica, sessista e/o ambigua che purtroppo infesta ancora la scena del metallo nero. Feminazgul, Wulfaz e Uprising, i gruppi di cui vi parlerò nelle seguente righe, incarnano perfettamente questa visione del black metal e ci hanno recentemente regalato tre dischi molto interessanti che meritano di essere scoperti, ascoltati intensamente e approfonditi. Nell’oscurità nessuno regna, ricordatevi che la notte non ha né re né regine… per l’insurrezione, per il black metal!

Feminazgul – No Dawn for Men (2020)

Un progetto black metal dalle tinte atmosferiche (in alcuni tratti riconducibile alla scena e alle sonorità cascadian di Wolves in the Throne Room e compagnia) apertamente e fieramente antifascista e che nelle sue liriche tratta tematiche legate al femminismo, alle questioni queer e alla totale distruzione del patriarcato e del machismo. Ditemi voi cosa si dovrebbe volere di più da un gruppo black metal oggigiorno se non tutte queste cose sopra elencate. Inoltre, come se non bastasse, il monicker dietro cui si celano le compagne Margaret, Laura, Meredith e Tez, richiama in maniera voluta la figura del Nazgul di tolkeniana memoria, quindi, ribadisco, cosa mai dovremmo chiedere di più a codeste sacerdotesse devote unicamente al culto del “metallo nero”? La risposta, scontata, è assolutamente niente. Anche perchè se caso mai cercassimo delle risposte, No Dawn for Men spazza via qualsiasi dubbio, perplessità o questione sull’intensità e sulla qualità compositiva del black metal suonato da/dalle Feminazgul. Partendo da una base che affonda nettamente le proprie radici in una tradizione prettamente statunitense di suonare black metal, specialmente quella dalle derive più atmosferiche e dalle tinte più “naturalistiche” di matrice cascadian, la proposta di Feminazgul non abbandona però mai completamente quella primitiva ed istintiva irruenza selvaggia tipica del metallo nero old school di matrice norvegese, riuscendo così a sintetizzare una ricetta estremamente convincente e dall’attitudine fortemente iconoclasta e bellicosa. La nostra esperienza con No Dawn for Men assume presto le sembianze di un oscuro rituale iniziatico durante il quale verranno invocate ed evocate entità maligne pronte a inghiottire quei due gelidi ed intimi mostri che rispondono al nome di patriarcato e capitalismo, incatenando nell’oscurità senza fine ogni forma di omo-transfobia e machismo, di sfruttamento e discriminazione.  Come al solito inutile approfondire questa o quell’altra traccia nello specifico (anche se l’iniziale Illa, Mother of Death, I Pity the Immortal e Forgiver I Am Not Yours sono ottimi esempi di cascadian black metal in cui tutti gli elementi, dalle vocals dannate e lancinanti ai momenti più atmosferici dominati dal synth e dagli intermezzi di viola, trovano la loro perfetta sintesi) dato che questo disco dev’essere vissuto come fosse un vero e proprio viaggio ritualistico che, attraverso le otto tracce-tappe, conduce verso nessuna alba per l’uomo e condanna, con aggressività iconoclasta, all’eterno tormento l’esistente capitalista, i suoi difensori e le sue divinità. I was not made to be gracious and i will carry this hatred to my grave… 

Questo bellissimo “No Dawn for Men” è in arrivo in formato tape anche grazie a Scadavera Records, una nuova etichetta black metal totalmente diy nata nelle oscure lande del nord Italia e dalle viscere del collettivo Semirutarum Urbium Scadavera. http://https://scadavera.noblogs.org/post/2020/07/19/nasce-scadavera-records/

Wulfaz – Sotes Runer (2020)

Con questo nuovissimo Sotes Runer i Wulfaz ci danno un’ulteriore assaggio di quel sound che loro stessi definiscono Runic black metal. Se già sul precedente Eriks Kumbl, di cui vi parlai proprio nel terzo appuntamento di “A Blaze in the Northern Sky”, la proposta lirica e musicale del gruppo danese aveva catturato il mio interesse, Sotes Runer non fa altro che proseguire sulla strada tracciata in precedenza riuscendo ancora una volta ad affascinarmi e a rinnovare l’affetto che nutro nei confronti del duo danese e della loro musica. Nelle tre tracce per una durata complessiva che si aggira attorno ai quindici minuti, il sound dei Wulfaz è sostanzialmente sempre lo stesso, anche se in questo caso sembra avvicinarsi ancor più prepotentemente al selvaggio black metal della tradizionale seconda ondata norvegese con i Darkthrone a spiccare come influenza principale insieme a quel sapore vagamente viking che riporta alla mente i primissimi Enslaved, il tutto senza allontanare completamente dalla propria proposta quell’attitudine e quel gusto raw punk che emergono soprattutto nell’irruenza espressiva e nello spirito bellicoso che avvolgono l’intero lavoro. Anche su questo Sotes Runer l’ispirazione lirico-concettuale da cui prende forma la proposta dei Wulfaz rimanda ad incisioni runiche e antichi rituali norreni, e questo immaginario viene espresso in maniera chiara e suggestiva fin dall’artwork di copertina. Sotes Runer non punta solo su ritmi sostenuti e furiosi assalti black metal, ma dimostra una capacità di giocare con rallentamenti, mid-tempos e un riffing che non disdegna mai completamente la ricerca della melodia, tutti elementi che rendono il disco tutt’altro che ripetitivo o noioso. Inoltre tremolo picking e blast beats (forse più presenti rispetto alle ritmiche d-beat del precedente lavoro) sono evidentemente ingredienti ancora fondamentali iscritti nel dna del black metal suonato dai Wulfaz e difatti possiamo notare facilmente l’importanza che rivestono all’interno del songwriting delle tre tracce. E mentre veniamo definitivamente inghiottiti dall’atmosfera pagana creata da Sotes Runer, realizziamo che Wulfaz rappresentano senza ombra di dubbio una delle entità più interessanti dell’intero panorama (viking) black metal odierno. And remember…There is no place for nazis in Valhalla!

Uprising – II (2020)

“call them priests, call them nazis call them 1%, call them greedy fucking bastards call them cowards, conservative power-lusting snakes they’re all afraid of you, the critical masses…”

Nell’ultimo periodo, le lande teutoniche stanno offrendo un discreto numero di interessanti realtà black metal dalla natura fortemente antifascista e che scelgono nettamente il lato della barricata da cui schierarsi in una scena troppo spesso piena di nazi, ambigui o simpatizzanti, dagli Hyems agli Elurra, per citare solamente due gruppi recentemente recensiti su queste pagine. Sembra difatti che il terreno in ambito black metal sia particolarmente fertile in Germania, con una qualità generale delle uscite veramente alta e e in grado di portare una ventata d’aria fresca in un genere spesso troppo saturo o ripetitivo. Rientra perfettamente in questo contesto “II”, ultimo album partorito in casa Uprising, progetto dietro cui si celano il braccio e la mente di Winterherz, già membro dei ben più noti Waldgefluster. Quarantatre minuti di intenso e allo stesso tempo melodico metallo nero che strizza l’occhio alla vecchia scuola scandinava attraverso il ricorso al gelido quanto letale tremolo picking, ma che non si limita mai nella ricerca di soluzioni melodiche, sopratutto nel riffing, in grado di creare la giusta atmosfera e smorzare l’irruenza degli assalti selvaggi di natura più marcatamente black. Dopo una breve suite intitolata emblematicamente “Introduction“, ci abbandoniamo completamente alla bellezza di una traccia come “There’s No Such Thing as Hope“(probabilmente uno dei momenti migliori di tutto il disco), con il suo forsennato riffing iniziale e con i blast beats (opera di una drum machine che però non va ad inficiare della qualità generale dell’opera) a donare al brano un’atmosfera veramente battagliera e devastante. Bellissima anche una traccia come “Lesson in Basic Human Empathy”, un’assalto all’arma bianca di barbaro black metal che non mostra mai segni di cedimento, con un testo che si schiera nettamente contro ogni sorta di discriminazione di natura razziale e/o sessuale. Nel complesso ci troviamo trafitti da sette tracce di black metal attraversato da tensioni riottose che si presentano come veri e propri inni incediari di rivolta contro un mondo oppressivo in cui regna l’ingiustizia, lo sfruttamento e la prevaricazione ai danni degli ultimi e degli sfruttati. Le liriche di II, impregnate di questa selvaggi carica sovversiva, mostrano inoltre il potenziale del black metal come mezzo per diffondere un viscerale e istintivo odio contro ogni forma di oppressione e per far divampare il fuoco e le fiamme dell’insurrezione nei confronti di questo mondo. Per concludere, come potrei non spendere due parole sullo splendido artwork di copertina che, riprendendo uno stile riconducibile alle miniature di epoca medievale, mostra l’uccisione di un despota e di un vescovo da parte di una manciata di contadini rivoltosi, mentre sullo sfondo le fiamme inghiottono un castello, simbolo del potere autoritario e dell’oppressione. Black metal ist Klassenkrieg!