“La Vita che Nasce dalla Putrefazione” – Intervista ai Kompost

Ho avuto recentemente l’estremo piacere di fare due chiacchiere (“intervistare” purtroppo è un termine che non riesco a digerire, troppo professionale e a me i critici musicali stanno in culo) con i Kompost, gruppo crust/d-beat trevigiano in cui mi sono imbattuto e immediatamente innamorato nel lontano 2016 grazie al loro, ad ora, ultimo disco una studio intitolato “La Vera Bestia”. Lascio la parola ai membri del gruppo perché hanno davvero messo anima e corpo in queste risposte, scrivendo molte cose interessanti. Ringrazio nuovamente i Kompost per essere stati così esaustivi nel rispondere alle mie domande! Kompost, nient’altro che la vita che nasce dalla putrefazione.

Ciao ragazzi! Partiamo con le banalità e una breve presentazione per chi non dovesse conoscervi. Quando e perché nascono i Kompost? Ma soprattutto, com’è avvenuta la scelta di questo nome?

Pozze: I Kompost nascono originariamente come progetto dai resti degli Idiosincrasia da me e Nicolò̀ (ex-chitarrista) perché sentivamo il bisogno di esprimerci e di portare avanti un qualcosa che sentivamo di dover fare. Le prime prove, vista la necessità che sentivamo, sono state esplosive dal punto di vista creativo, della serie in tre prove buttate giù sei canzoni dall’inizio alla fine! Nicolò, che da anni lavora nel mondo dell’agricoltura biologica, cercava un nome che rimandasse a quell’ambito, da questo a Bre è venuta l’idea di dare “Kompost” come nome “con la K perché fa più CRUST”. La vita che nasce dalla putrefazione: un concetto che racchiude un po’ il senso filosofico che proviamo a mettere nella nostra musica. La marcescenza (la fine, la disgregazione, l’oblio) come prodromo inevitabile alla vita e alla rinascita, un passaggio doloroso ma necessario. Pari alla leggenda della fenice come significato ultimo, ma tolto da quella purezza che si può identificare nel fuoco (che pulisce, sterilizza), una trasformazione che per quanto positiva è sporca e putrescente, non è veloce ma è un processo lento e disgustoso. Il risultato comunque è il medesimo, il rinnovamento della vita. In questo senso credo che sia un modo di rappresentare il nostro punto di vista in una sola parola.

La vostra proposta è sempre stata caratterizzata da sonorità dedite al crust punk più intransigente. Come mai la scelta di suonare proprio questo genere?

Si tratta di un genere che unisce due fronti estremi della musica violenta, la testardaggine del metal fusa con l’aggressività̀ drogata del punk. Crediamo che il Crust sia un genere perfettamente in linea con il nostro punto di vista esistenzialista. Un genere che oltre ad avere un suono che dal punto di vista musicale ci prende bene e che a nostro avviso si adatta perfettamente al sentimento che proviamo rispetto al mondo. È un genere che riesce a includere la delusione per lo status quo e al contempo la rabbia che ne deriva. Una sorta di lamento rabbioso di chi è incastrato contro la sua volontà in una situazione che sembra schiacciarlo, ma che nonostante appaia incontrovertibile e destinata non può essere accettata passivamente. Non suoniamo per seguire le tendenze, ma perché come genere, il Crust, si adatta alla perfezione a quello che è il nostro messaggio quasi fosse uno sfogo, una catapulta da caricare, una pietra da lanciare.

Legata intimamente e logicamente alla domanda precedente, quali son stati i gruppi che vi hanno influenzato maggiormente nella composizione della vostra musica?

I gruppi che di più sentiamo come ispiratori provengono dalla scena svedese come i Disfear e Wolfbrigade, da quella americana come Tragedy e From Ashes Rise, da quella spagnola, Ictus, Cop on Fire, Ekkaia, dalla scena inglese tipo Fall of Efrafa. Abbiamo una certa predilezione per il neo-crust a cui, in certe parti dei nostri brani, proviamo ad avvicinarci. È innegabile ovviamente che ci siano influenze da tutta una serie di altri sottogeneri e che i gruppi da cui volontariamente o involontariamente traiamo ispirazione sono innumerevoli, anche perché cerchiamo comunque di aggiungere elementi sonori che possono essere compresi nel d-beat, nel thrash o nel caro vecchio hardcore. Cerchiamo di inserire un po’ tutti quelli che sono i generi che hanno influenzato la nostra storia musicale.

Il crust è un genere che, dopo aver avuto un exploit intorno ai primi anni duemila, sembra esser stato oramai accantonato all’interno della scena, almeno in quella italiana. Come vi spiegate questa praticamente scarsità di gruppi e uscite crust punk oggigiorno?

Sarco: Io credo che il Crust Punk non lasci tanto “spazio di manovra” nel senso che penso abbia un pubblico più circoscritto rispetto alla maggior parte degli altri sottogeneri del punk e forse per questo le aspettative rispetto al genere si sono “stabilizzate”. In più credo questo genere sia espressione di rabbia, valvola di sfogo. Credo che il Crust debba parlare della parte più schifosa del mondo in cui viviamo. In questo momento mi sembra che molte persone si accontentino di passare una bella serata, ascoltare gruppi che sicuramente sono bravi e meritano l’attenzione di tutti ma parlano di niente o di quanto bello sia fare festa fino a star male. Ci sta, ma il mondo fa anche schifo e bisogna rendersene conto. E tanti fanno finta che tutto sia bello e tranquillo. D’altronde viviamo nel mondo dell’ “andrà tutto bene”. La gente sta male, muore o non riesce a mangiare perché non lavora e se va bene è prigioniera a casa sua o in fabbrica. Sì, andrà tutto bene, ma solo per voi egoisti che non avevate problemi prima e che non ne avete ora nonostante tutto ‘sto casino.

Ivan: Non so se rispondere in modo stronzo o contenuto alla domanda; la società influenza sicuramente le scelte artistiche delle persone, pure nell’ambito della musica “ribelle”. Molti si aggrappano a generi passati per nostalgia, molti ne inventano di nuovi per sperimentazione, molti rimangono fedeli a ciò che ascoltavano o suonavano anni prima perché continuano a rimanere incazzati e furiosi. Il Crust punk è alimentato dalla rabbia. La gente non è più incazzata come prima: si ritrova rassegnata, nella loro “scena” musicale fatata, predicando cose indignate di un tempo che non sentono più. Ed ecco che il Crust viene accantonato perché evidentemente c’è bisogno di divertirsi più che di incazzarsi. Ma io amo incazzarmi.

Pozze: è difficile dare una risposta univoca a questa domanda, secondo me il fatto è che la scena punk (come qualsiasi altra) è soggetta a mode. Lungi da me affermare che vengano messi in piedi progetti per “rispondere” alla tendenza del momento, ma ovviamente la nascita di nuovi gruppi viene influenzata da cosa ascolta chi li forma. Potrebbe essere che dal punto di vista estetico il Crust possa essere visto come datato, un genere che ormai si è esaurito nella sua propulsione creativa e innovativa (detto in parole povere che i gruppi diano l’impressione di essere una minestra riscaldata). Io non sono d’accordo a tale proposito e, come dicevo nelle risposte precedenti, è il genere che più si addice alla nostra idea di fondo. In tal senso non mi pongo il problema dell’eventuale presenza nella scena di progetti simili al nostro, dato che è questa la sonorità che sento adeguata al nostro modo di vedere.

Bre: A mio avviso, questa scarsità di gruppi e uscite non è strettamente legata ad un singolo genere come ad esempio il Crust punk ma a quasi tutta la scena underground connessa all’hardcore. Non esiste più un ricambio generazionale. Noi rimaniamo tra i più giovani in questo campo ed ormai abbiamo raggiunto i trent’anni, il che è allucinante. Sono sempre più rari i ragazzini ai concerti o tra i gruppi. Le band che già esistono da tempo stanno esaurendo idee e spirito proprio perché il loro messaggio arriva sempre alle stesse persone e mai ad un pubblico più allargato.  Ecco il perché di questa scarsità.

Federico: A parer mio, (quasi da “outsider”) la vedo un po’ come una trasformazione che è avvenuta per molti generi, non riconducibile solo al Crust.
Con cambiamenti avvenuti sia nella modalità di ascolto della musica stessa e sia nella presenza di pubblico ai concerti, con un genere fortemente legato alle persone e all’ideale che rappresenta come il Crust era inevitabile una conseguenza simile. Nei vari live a cui ho partecipato, vedendo la gente che ci partecipa, noto di essere sempre tra i più giovani presenti alle serate, e bene o male vedo sempre che quelli legati più fortemente al genere sono in maggior parte quelli che avevano la mia età negli anni di exploit del genere. In ogni caso questo ragionamento è applicabile all’Italia ma non esattamente al resto del mondo, ci sono paesi anche europei che invece sono molto più legati a questa cultura e che partecipano attivamente a concerti, iniziative, acquistano dischi e merch e ne seguono l’evoluzione. Mi è bastato vedere per esempio la situazione in Croazia durante la data al Monteparadiso per capire che, anche solo appena fuori dai confini italiani, c’è molto più movimento su questo tema rispetto a dove viviamo noi e che la fascia di età dei presenti si abbassa. La gioventù sostenta il genere e spinge chi lo produce a far sempre di meglio per tenere alta la propria bandiera, è proprio un’altra cosa dal mio punto di vista, dipende molto dall’attitude, dalla cultura che circonda questo genere di musica, da quanto il pubblico è disposto a dare per supportare chi la fa. Essendo un genere underground è molto più facile che, in un paese con una gioventù come la nostra, venga accantonato per generi parecchio più mainstream e che non ci sia nessuno spiraglio di crescita per band che cerchino di emergere seriamente in una situazione musicale come quella presente attualmente nel nostro paese, c’è sempre speranza, ma dubito fortemente che si possa tornare ad avere lo stesso impatto sul pubblico tramite il Crust e in generale con altri generi underground ora come ora.

Ha qualche significato particolare per voi suonare crust punk?

Sarco: Sono un tipo molto paziente, non mi arrabbio (quasi) mai e sicuramente è anche perché, suonare un genere che parla di tutte le cose che mi urtano, è la miglior valvola di sfogo che io possa avere. Se non suonassi Crust probabilmente avrei già ucciso una dozzina di persone eheh!

Federico: Per me è il primo approccio a questo genere, ho sempre amato il punk in tutte le sue forme e ho ascoltato nella mia crescita musicale parecchi gruppi di tanti sottogeneri di esso, quando mi si è presentata l’occasione di poter suonare in una band che facesse Crust ho subito accettato, mi è bastato ascoltare un paio di tracce e ho capito che era una cosa che faceva per me, mi piace il suono pesante e l’energia che mi da e per me la cosa più importante o per dire “il significato” del suonare Crust è suonare qualcosa che apprezzo nella sua forma e che mi dia carica nel momento in cui c’è da suonare live, la sensazione di trasmettere la propria energia e vederla riflessa nel pubblico è impagabile.

Nel 2016, ai tempi della vostra (aihmè) ultima fatica in studio (intitolata “La Vera Bestia”), rimasi folgorato e mi innamorai subito tanto da scriverci una appassionata recensione. Cosa vi ha ispirato nella composizione di quel disco e nella scrittura dei testi?

Pozze: quello che ha ispirato “la vera bestia” è per quanto mi riguarda il senso di schifo che giornalmente ci procura la situazione in cui siamo costretti a vivere. Come dicevo anche prima è la sensazione che i problemi con cui (ognuno di noi, a prescindere dalla fede politica o dalla condizione sociale) siamo costretti ad affrontare, talmente tanto radicati che nella mente della maggior parte delle persone hanno raggiunto addirittura il grado di leggi naturali immodificabili, quasi non fossero dei meri costrutti ideologici ma degli assiomi su cui si regge il mondo. Il fatto tragicomico è che appunto perché vengono vissuti in questo modo questi costrutti hanno forza. Parlo di cose come il sistema capitalistico, l’idea di stato-nazione (e relativi confini), il consumismo, ecc. Vedere che ci stiamo torturando (e noi siamo pure nella parte “giusta” o “fortunata” del mondo) per qualcosa di puramente ideologico è intollerabile, sento la necessità di dichiararmi contrario a tutto ciò.

In generale, cosa cercate di trasmettere con i vostri testi? Da cosa prendete ispirazione?

Ivan: Beh… lo schifo per la gente che fa schifo. Il nostro odio verso la stragrande maggioranza di quell’umanità̀ che ci circonda, con l’ignoranza, con la disumanità, con i confini. Il prendere una persona e farne una cosa da usare, il trattare una schifosissima società come della merda da espellere dal culo perché tanto poi ne arriva altra e “loro hanno fame”. L’ispirazione arriva dalle cose che non ci piacciono. Se arrivasse dalle cose carine faremmo ska, porcodio.

Come già detto, il progetto Kompost sembra essere piombato in un silenzio assordante dal 2016, almeno a livello di registrazioni e pubblicazioni. Come mai questo periodo di silenzio? State lavorando ad un nuovo disco per caso?

Dopo la pubblicazione dell’album purtroppo abbiamo attraversato prima un periodo di “rallentamento” dovuto ad un paio di cambi di line-up e poi un periodo di stop a causa di impegni personali ed improrogabili di uno di noi. Avevamo ripreso da due/tre mesi a suonare per sistemare gli ultimi dettagli delle nuove canzoni che avevamo in progetto di registrare, ma è intervenuto il fato con l’allegra pandemia che ci ha costretto a posticipare il tutto. Rispetto alle date (se possiamo essere stronzi) dobbiamo dire che nella scena, come in tutte le congregazioni umane del resto, ci sono dinamiche un po’ fastidiose per le quali se si deve scegliere, si fanno sempre suonare gli amici degli amici. Capita che lo stesso gruppo tu te lo possa vedere in metà dei concerti a cui vai perché vengono chiamate sempre le stesse persone grazie a conoscenze e che altri gruppi vengano un po’ snobbati. Fa un po’ tristezza la cosa, anche perché poi quando riusciamo a suonare vediamo che da parte del pubblico c’è un riscontro positivo nei nostri confronti. E questa discrasia tra riscontro positivo e quasi totale assenza di proposte da parte di organizzatori vari da un po’ fastidio.

Nella mia, e per fortuna non solo mia, visione la musica punk hardcore e relativi sottogeneri vanno di pari passo con una critica totale all’esistente capitalista, alla sua oppressione e reprressione quotidiana e con pratiche di lotta e di autogestione. Che importanza ha per voi Kompost lottare o diffondere pratiche come l’autogestione o l’autoproduzione?

Sarco: Io sono un ossimoro, suono punk e lavoro in fabbrica, uno dei posti peggiori che io abbia mai avuto la sfortuna di frequentare. Devo quindi passare otto ore delle mie giornate in un covo di ignoranti, egoisti e frustrati. Bella merda. Ma questo non fa che dare forza a quella che potrei dire, essere la mia filosofia di vita: farmi i cazzi miei e arrangiarmi per fare qualsiasi cosa (nel limite delle mie capacità), a partire da riparazioni domestiche varie, costruire giocattoli per mia figlia, fare il pane e cucinarsi il cibo, fare le grafiche e montare semplici video per i social del gruppo, fino ad arrivare a cose più concrete come comporre, registrare e stampare un album con le nostre risorse o autofinanziarsi i viaggi per andare a suonare in giro. Se prima di comprare qualcosa riesco a farmela da solo (o riesce a costruirmela mio padre ahah) è meglio. E poi dai, quanto cazzo e soddisfacente farcela con le proprie forze?

Ivan: L’autogestione e l’autoproduzione sono essenziali per la scena musicale come per l’uomo. Contrariamente alle associazioni o ai grandi gruppi, questa è una realtà che permette alla persone di comunicare in piena libertà senza vincoli né costrizioni, scontrandosi però con i rischi che possono nascere, ma che ci vuoi fare… senza rischio non c’è vita.

Bre: Come gruppo abbiamo sempre cercato,per quanto possibile, di sostenere diverse iniziative legate all’autogestione e all’autoproduzione. Sappiamo che sono tempi difficili per continuare a essere attivi in quest’ambito ma penso che il contributo di ogni singola persona può essere utile anche solo avendo coscienza di quello che sta accadendo nella nostra società. Bisogna comprendere che il nostro modo di vivere quotidiano rimane pur sempre un valido aiuto al fine di migliorare questa merda di mondo. Suonare ed organizzare concerti a favore di una causa costa fatica, tempo e (purtroppo) denaro ma rimane il modo più immediato per dare un apporto concreto a chi ne ha bisogno.

Pozze: Secondo me la questione dell’autoproduzione (parlando ad esempio de “la vera bestia”) è simbolo dell’impegno personale che mettiamo e del fatto che crediamo nel nostro progetto. Ci siamo messi in gioco e d’impegno perché pensavamo che ne valesse la pena. Uscire da una logica prettamente commerciale di investimenti per guadagno consente innanzitutto di poter presentare qualcosa che è stato completamente pensato ideato e creato unicamente secondo quelle che sono le nostre idee e inclinazioni. L’album che abbiamo registrato lo abbiamo personalmente seguito in ogni singolo aspetto (per fare un esempio l’immagine sul CD l’ho stampata a casa di un amico copia per copia, o le copertine ritagliate a mano e inserite nelle custodie) e ognuno di noi ha messo le proprie competenze/conoscenze per arrivare a produrre l’album (un esempio a caso, il primo che mi viene in mente, Bre ha curato tutta la parte grafica del libretto interno). In generale è un qualcosa che, a mio avviso, da un valore aggiuntivo a un “prodotto” (nel senso letterale e non consumistico del termine). Nel nostro piccolo abbiamo sempre cercato di supportare iniziative di questo genere, che escono dalla squallida logica di mercato e che di conseguenza sono espressione spontanea di un interesse reale e non “spinto” verso una direzione predeterminata. Che si tratti di luoghi di aggregazione, abbigliamento, musica o qualsiasi altro ambito, l’idea di autogestione o autoproduzione porta con sé questi due aspetti fondamentali, a mio avviso, la libertà rispetto a logiche di mero profitto e l’impegno personale.

Per concludere questa lunga quanto interessante e ricca di spunti chiacchierata, lascio spazio ai carissimi Kompost per dire il cazzo che passa loro per la testa.

Kompost: Vorremo cogliere la palla al balzo innanzitutto per ringraziarti di questa intervista e per ringraziare tutti coloro che abbiamo conosciuto in questi anni anche grazie all’ex collettivo Treviso Punx e al collettivo Saetta Autoproduzioni.
Inoltre vorremmo citare un gruppo di nostri amici dalla Repubblica Ceca con cui, sia noi che altri nostri amici (Jack Rottame dei DDT su tutti), abbiamo instaurato un forte legame da ormai sette anni tramite scambio date. Più volte siamo andati a suonare dalle loro parti e siamo rimasti sempre colpiti dal loro entusiasmo e dalla loro foga. Anche nel paesino più disperso troverete sempre molte persone che si sbattono per i concerti e che hanno voglia di conoscere nuovi gruppi. Pare di ritornare in Italia a dieci anni fa. Loro sono un chiaro esempio di cosa voglia dire essere costanti nell’attitudine e solidali tra persone. Grazie quindi ai ragazzi della “Znojmo HC”, Kratos, Micha , Vojta, Cirda, Herry Boss ecc. e ai loro gruppi che vi consigliamo vivamente di ascoltare se vi piace il Crust-Raw Punk grezzo ma di impatto! (Dis-K47, Midnatt Dod, Moral Hangover, Rozruch)