“Soffoca nella merda, dio dannato!”

Il racconto/flusso di pensieri che andrete a leggere di seguito, intitolato “Soffoca nella merda, dio dannato!” è opera della mente e della penna di un’individualitá complice e amica che si firma solamente come Lucky. 

Un tiepido sole illumina queste giornate autunnali, sorriso celato da nubi ottobrine. Il solito sguardo mattutino rivolto alla finestra pur di sentirsi parte di un qualcosa, di un mondo, di un reale che si fa fatica a sopportare. La presa di coscienza giunge variatamente tra il tempo di un thé caldo e di una sigaretta, quando apri quel solito sito della solita testata liberale: una craniata nei denti. E giunge quatta quatta la disperazione che risale sul tuo corpo, una sorta di ragno che ti solletica la schiena danzando con le sue zampe sul lembo della tua pelle. Penetra nelle carni facendosi spazio fino al cuore e in quel momento il tutto perde di gusto, i colori autunnali ti lasciano indifferente e gli echi della città iniziano a darti fastidio. Colazione al gusto di frustrazione, il Suo dolore è servito!

La pupilla inizia a battere freneticamente un tempo dettato dalla fatica di respirare, di relazionarsi, di semplicemente esistere. Da singolo, da soggetto, divieni aggettivo, saltando il predicato che tanto di ‘sti tempi è abolito qualsiasi atto spontaneo. È tutto uno “sto”. Risposta perenne alla solita domanda formale che si usa volgere in quegli incontri che ormai divengono sempre più rari, più vuoti e sempre più celati. Così ci si riduce ad essere un fatto, oggetto di correnti che riducono lo spazio vitale nel confine dell’esalazione di un respiro. Spettatore e spettatrici con l’unica libertà di esperire una disperazione o un’altra, barcollando tra un’incertezza e una malsana inquietudine. In balìa delle onde privx della certezza di poterci salvare da questo naufragio. A pezzi, distruttx, in macerie, con i crani pronti ad esplodere e la sola voglia di piangere e urlare. In tutto ciò ci si sente solx, impauritx, schiacciatx, repressx, infelici e non so cos’altro. Giorno dopo giorno diventa sempre tutto più confuso portando ad inediti livelli di frustrazione. Tutto sembra morire, perire, soffrire; ogni cazzo di cosa richiama il nostro dolore. Autunno, stagione di piogge: si prevedono massicci riversamenti di sbirri nelle strade, è caldamente consigliato di munirsi di k-way e mascherina. I checkpoint arrestano le arterie dell’esistenza, le telecamere vegliano il flusso di una normalità che puzza di morte. Corpi invisibili e mortificati all’estremo, l’addomesticamento ha il tanfo di gel per le mani. La fame preme sullo stomaco, gli occhi gonfi di lacrime di rabbia rendono i confini del reale offuscati: non c’è limite, né punti fermi. Orda nera, caos, tumulto. Corrente di notizie che ti sbatacchiano di qua e di là, corsa frenetica e armata contro il cordone, colpo di tosse, colpo di pistola. Colpi. Efferati e inediti colpi sul corpo, sul cuore, sulla mente che fa sempre più fatica a riprendersi. Così questo sacrosanto e beatissimo dolore, diviene materia d’applauso da parte di autorità mangia-merda e ci si ritrova a recitare il ruolo di martire per una società coprofaga: produci merda, consuma merda, vomita merda sui social, riempiti di merce di merda fino al collo, alle orecchie, agli occhi; soffoca nella merda, dio dannato!

Nel rito collettivo si richiama al sacrificio: un oggetto, un arto, un pensiero, soldi, la propria vita, qualunque cosa va bene pur che si rimanga con un qualcosa in meno. La semi-esistenza semi-emozionale nel periodo del semi-lockdown. Legioni di dannati schizzano nelle strade alla ricerca di un qualcosa, fantasmi che trascinano il peso delle proprie angosce sotto un ridente sole. Le emozioni divengono materia di contrabbando, la gioia assume il rischio di una rapina a mano armata. Strazianti sirene trascinano negli abissi della paranoia: in un mondo in cui il terrore occupa le strade quotidianamente, la necessità della notte viene abolita. Silenzio assordante. Pausa e sospensione. Fracasso di vetri, crollo di una vetrina, pioggia di schegge che tagliano i nervi. Volano oggetti, volano pensieri, si vola e la meta non sta scritta su nessuna mappa. Suonano le ventidue. Resta qui, non andare, la notte è sola e i nostri sogni non attendono il domani.