Kläpträp – Songs about Wrongs (2023)

Bevitori, pensatori e puzzolenti. Come nella migliore tradizione del crust punk che si rispetti. Ecco come si definiscono i Kläpträp, non propriamente delle facce giovani e nuove della scena, ma al contrario un gruppo che può contare sue due elementi che hanno scritto una parte importate della storia del genere come Stef dei Visions of War e Stick dei Doom. Ad accompagnarli in questa nuova crust-avventura troviamo Anita alla voce e Faxe al basso, per una band che si muove tra Germania e Regno Unito. Con questa loro prima registrazione totalmente diy pubblicata in formato cassetta, i Kläpträp sono autori di dodici “canzoni che parlano di fallimenti/torti” in una veste crust punk cruda, sporca, grezza e primitiva che guarda al passato e che fa pensare possa trattarsi di un album dimenticato in qualche stanza polverosa e maleodorante di un umido e fatiscente squat sul finire degli anni 90. Con testa, pancia, stomaco e cuore ancorati alla vecchia scuola del genere, quando il punk (e in special modo il crust) faceva ancora rima con un preciso modo di vivere, lottare e resistere a questo esistente di merda, i nostri suonano con passione e sincerità ma anche con tantissima rabbia, malessere e disgusto per l’infinita serie di barbarie e torti che tutti e tutte noi siamo costretti/e a subire, osservare e farci i conti nel nostro quotidiano; dall’oppressione del patriarcato alle “nuove” guerre imperialiste, dall’inarrestabile inquinamento (materiale e mentale) del consumismo e della merce alle differenti forme che la violenza assume impattando sulle nostre vite, con le ripercussioni che tutto questo ha sulla nostra stabilità emotiva e psicologica già precaria e preda di ansie in un’epoca paranoica e ossessiva. Musicalmente l’anarcho-crust punk dei Kläpträp si inserisce ovviamente nel solco tracciato da Doom, Visions of War, Nausea, Detestation, Warcollapse e Hellkrusher, tutte influenze che emergono qua e la durante l’ascolto di Songs about Wrongs, un album suonato d’istinto, registrato in maniera diy e attraversato da un’urgenza espressiva abbastanza evidente, oltre che da una tensione riottosa-antagonista tipica delle più coerenti espressioni del genere. Inoltre l’artwork di copertina che accompagna la tape ha uno stile molto primitivo, come fosse uno schizzo a penna appena abbozzato, che mi ha ricordato fin da subito l’estetica di Romain e del suo Terminal Sound Nuisance, blog punk che non credo abbia bisogno di presentazioni. In conclusione, un album di crust anarchico, grezzo e maleodorante come non se ne sentiva da un bel po’ di tempo a questa parte e che quindi non può che fare la gioia di tutti noi rappresentanti della specie homo crust-inhabilis in via d’estinzione.