Neanderthal Stench, un approfondimento su 3 dischi pubblicati dall’etichetta belga

A merciless attack of stenchcore, metalpunk, crust as fuck…

Questo articolo nasce con il solo intento di riscoprire, riportare l’attenzione e dare il giusto merito ed importanza ad una delle distro/etichette DIY che sono state più attive in ambito crust punk e relative incarnazioni negli anni duemila. Neanderthal Stench è stata per molti anni, fino al 2017 almeno, una realtà molto importante e di riferimento per chiunque suonasse, ascoltasse e vivesse una vera e propria “crust as fuck existence“, un progetto visceralmente fedele alla pratica del do It yourself e mosso da ideali profondamente anarchici, perché un certo tipo di musica non può essere scissa da un preciso modo di porsi nei confronti di questo esistente di merda e dei suoi orrori quotidiani tra guerre, repressione, sfruttamento e devastazione ambientale. Neanderthal Stench nel corso del tempo ha pubblicato praticamente tutti o quasi i dischi crust punk, metalpunk e stenchcore a cui sono più legato, che hanno formato i miei gusti musicali, che hanno occupato e occupano costantemente i miei ascolti e che hanno profondamente influenzato la mia maniera di intendere, vivere e approcciarmi al punk sia da un punto di vista musicale quanto da quello politico, militante e di attitudine. Penso sia un modo per ricordare l’esperienza di Neanderthal Stench quindi quella di scrivere queste righe di approfondimento su 3 dischi pubblicati e co-prodotti dall’etichetta belga a cui sono più legato, che hanno un’importanza storica all’interno della nostra scena o semplicemente che penso meritino di essersi riscoperti e apprezzati dai più. E per concludere, scrivere questo articolo su Neanderthal Stench anche e sopratutto perchè mi son sempre riconosciuto nell’approccio e nell’attitudine che hanno animato questo progetto dal giorno zero, ovvero l’avere una distro ed una etichetta diy non per moda o per qualche stronzata hipster da collezionisti di vinili, bensì per supportare e dare una mano effettiva a band di amicx e compagnx e diffondere idee, tensioni e pratiche anarchiche. E perchè, in fin dei conti, il do it yourself non è nient’altro che uno dei tanti modi per vivere l’anarchia nel qui e ora. Lunga vita a Neanderthal Stench, il crust, nonostante tutto, è ancora una minaccia!

Iskra – Ruins

Iskra

Per parlare dei canadesi Iskra e dell’importante ruolo che hanno avuto all’interno della scena crust punk e di quella black metal, servirebbe un’approfondimento a parte in cui lasciare che fiumi di parole rompano gli argini e possano scorrere liberi e selvaggi. Questo perchè gli Iskra sono stati una di quelle band che definire seminali, cruciali e “innovative” è riduttivo, tanto dal punto di vista musicale quanto da quello lirico, politico e militante. Partiamo ponendo l’attenzione sul fatto che prima di tutto gli Iskra sono un band militante e attiva in senso anarchico, rendendo in questo modo evidente il loro legame con l’attitudine più sincera e tipica dell’anarcho e del crust punk. Aggiungiamoci che i canadesi fin dal primo giorno hanno ibridato il loro crust punk di tradizione britannica con sonorità, ferocia e atmosfere che tradivano una profonda passione e una netta influenza ascrivibile al black metal di matrice scandinava, al punto da aver coniato per descrivere la propria proposta musicale un termine successivamente iper abusato (spesso addirittura erroneamente) come “blackened crust” (prima) e poi quello più identificativo e iconico di “anarchist metal“. Anarchist metal, un’etichetta che hai tempi fece storcere il naso a moltissimi metallari duri e puri, specialmente a quelli appartanenti a scene in cui proliferano o vengono tollerate ideologie apertamente nazifasciste, razziste e omo-transfobiche. Gli Iskra hanno segnato un punto di non ritorno, incarnando (insieme ad una manciata di altre band) il ruolo di pionieri di quel movimento che presto prese il nome di RABM (Red and Anarchist Black Metal), imprimendo un feroce cambio di rotta all’interno della scena del metal estremo in senso antifascista e anarchico. Ecco, tutta questa non-poi-cosi-breve digressione al solo scopo di giungere a parlarvi di Ruins, ultima fatica in studio per gli Iskra datata 2015, prima dello sciolgimento della band e la parziale reincarnazione nei grandiosi Storm of Sedition.

Ruins è forse il disco degli Iskra in cui i nostri presentano la formula definitiva del loro personale mix di anarcho-crust punk e black metal di tradizione norvegese e svedese. Undici tracce che evocano il meglio di entrambi i generi, l’attitudine bellicosa e riottosa del crust da un lato e i gelidi ed efferati assalti del black metal della seconda ondata dall’altro, costruendo in questo modo un muro di suono che mette in risalto l’impetuositá, la spietatezza e la barbarie votata al caos piuttosto che le atmosfere e le melodie. La doppietta con cui si apre il disco formata dalla titletrack e da Lawless (uno dei brani migliori mai scritti dai canadesi) non lascia scampo a niente e nessuno, rappresenta un vero e proprio agguato che ci sorprende all’improvviso travolgendoci senza lasciarci alcuna speranza di uscirne incolumi, dandoci subito la misura di come sarà l’ascolto dell’intero album. Il black metal degli Iskra su questo disco, che risente dell’influenza di primi Immortal così come dei Marduk, irrompe nelle nostre esistenze inermi come una tempesta glaciale e votata al caos, con sferzate taglienti sottoforma di riff in tremolo picking in continuo mutamento e aggressivi e devastanti blast beats che sembrano in grado di far tremare la terra sotto i piedi. E’ dal lato lirico che però la band canadese si discosta dalle tematiche classiche del “metallo nero”, dando libero sfogo agli ideali anarchici e antiautoritari che sottolineano il loro dna profondamente e fieramente crust punk. Infatti i testi degli Iskra anche su questo Ruins toccano argomenti diversi, spaziando da quelli più legati all’anarchismo come pratica e teoria (Illegal) ad altri brani che sono vere e proprie invettive di rabbia e protesta contro i bombardamenti sui civili fatti con i droni (Predator Drone MQ-1), contro le derive autoritarie e repressive o contro il colonialismo subito dalle popolazioni indigene nordamericane (Battle of the Hundred Slain). A distanza di quasi dieci anni dal primo omonimo album di debutto, con questo Ruins gli Iskra probabilmente pubblicarono il loro disco migliore, la rappresentazione perfetta del loro anarchist metal sia dal punto musicale che lirico e militante. E se Battle of the Hundred Slain, l’ultimo brano del disco, si conclude con queste parole: “I was born where winds blow free and these are the lands where I shall die“, anche il viaggio in direzione ostinata e contraria degli Iskra giunse al termine, lasciando un grande vuoto e un silenzio assordante dietro di se. Ruins, nient’altro che l’atto conclusivo di una delle band più influenti degli anni duemila sulla scena del metal estremo e del crust punk, il capitolo finale dell’anarchist metal con cui gli Iskra hanno provato a dare alle fiamme questo mondo.

Fatum – Life Dungeons

Fatum somewhere in the Alps

Una delle band che più fedelmente ha saputo riproporre le sonorità e le atmosfere tipiche di quel brodo primordiale britannico da cui iniziò a svilupparsi e ad assumere forma il crust punk come noi tutti lo conosciamo oggi. Si sto parlando chiaramente dei russi Fatum, gruppo di mosca che fin dai tempi di Skverna, ep di debutto pubblicato nel 2010, ha portato avanti in maniera coerente, decisa, ispirata e in buona parte personale la propria visione del crust punk e delle sue proto incarnazioni definite a posteriori come stenchcore. Ho citato Skverna non per mero approfondimento cronologico, ma perchè non a caso su quell’ep i Fatum si dilettarono a suonare due cover che non possono lasciare spazio a dubbi sulle loro influenze musicali, ovvero Hades degli immortali Bathory e Messiah dei cruciali Hellhammer. L’influenza del primo proto-metal estremo ancora profondamente legato al thrash è infatti sempre stata presente nella musica della band russa, combinandosi in maniera maestosa con le più classiche influenze del crust punk primordiale di Deviated Instinct, Hellbastard o Antisect, ma fu solo con Life Dungeons del 2015 che i nostri diedero libero sfogo con maggiore impeto e convinzione ad una dimensione e ad un’approccio più “tradizionalmente” metal. Accompagnata da uno splendido artwork di copertina dall’estetica d’ispirazione fortemente celtica capace di evocare scenari tanto epici quanto pagani e ancestrali, il crust punk suonato dai Fatum in questi sette capitoli di Life Dungeons resta costantemente in bilico tra dichiarazioni di guerra sorrette da assalti spietati e da una cieca furia barbarica e momenti in cui atmosfere decadenti evocano scenari dominati da desolazione, impotenza e urla di sofferenza lancinanti.

Appena decidiamo di entrare in questo dungeon, gli scenari evocati dalla musica dei Fatum si fanno immediatamente nitidi e dipingono in maniera angosciante campi di battaglia disseminati di cadaveri, in cui si aggirano i pochi sopravvissuti alla battaglia e in cui l’aria diventa sempre più irrespirabile e nauseabonda, così come lande desolate in cui svettano solo rovine e macerie della civiltà umana condannatasi all’estinzione. Lo stench-crust punk dei Fatum è profondamente apocalittico, oscuro e nichilista e queste sensazioni si insidiano sotto la pelle durante l’ascolto di tracce come Informational Battlefield, The Flame o la conclusiva, maestosa ed epica The Man Behind the Sun, brano che evoca il cupo spettro dei maestri Amebix in più di un momento. C’è tutto il meglio del crust punk vecchia scuola e del proto-metal estremo ottantiano in questo Life Dungeons: riff di matrice thrash metal che possono riportare alla mente anche i Sacrilege di Within the Prophecy o gli Hellbastard si stagliano sopra un tappeto sonoro composto da resti putrescenti del crust punk suonato alla maniera dei Deviated Instinct più sporchi e primitivi, mentre brevi quanto efferate incursioni razziatrici nei territori di In Battle There is No Law dei Bolt Thrower amplificano la dimensione più barbarica e guerresca della musica suonata dai Fatum; come se tutto ciò non fosse abbastanza per lasciarci privi di forze in balia di questo furioso crust-assalto, i Fatum decidono di dare spazio anche all’oscurità e al marciume angosciante degli Hellhammer e alle atmosfere post-apocalittici e catastrofiche di matrice Amebix.

Forse raggiunto solamente dal successivo Edge of the Wild del 2018, Life Dungeons resta senza ombra di dubbio il punto più alto raggiunto dai Fatum in questi loro ventidue anni di esistenza e un disco fondamentale per tutti gli e le amanti di quel brodo primordiale noto come stenchcore. Imprescindibile.

Ruinas/Chaosbringer – Ruinas/Immersion in Darkness split

Ruinas

Scegliere quale disco pubblicato e coprodotto da Neanderthal Stench “recensire” come terzo protagonista di questo articolo non è stata impresa semplice, a differenza degli altri due su cui ho avuto davvero pochi dubbi. Questo perchè se gli Iskra son stati scelti per l’importanza della band canadese all’interno della scena crust e metal più antifascista, anarchica e militante, e la scelta dei Fatum è stata dettata esclusivamente dalla mia profonda e completa infatuazione nei confronti del loro “stenchcore”, come terzo disco da (non)recensire i candidati erano tanti: Into the Void dei tedeschi Moribund Scum, il self-titled album dei Wilt, il maestoso e opprimente gioiello di old school death metal dei Cruz che risponde al nome di Culto Abismal e potrei continuare. Poi però, all’improvviso l’illuminazione. Perchè non scrivere una manciata di righe sullo split album tra gli argentini Ruinas (una delle mie band stench-crust preferite di sempre) e i russi Chaosbringer? Perchè non dare spazio ad uno dei formati più diffusi e iconici dell’hardcore e del punk in tutte le loro incarnazioni come appunto uno split album?

Ecco allora il terzo e ultimo protagonista di questo approfondimento su Neanderthal Stench Records, un devastante split pubblicato nel 2017 che da un lato ci offre un bellicoso, feroce e guerreggiante death metal vecchia scuola e dall’altro uno stenchcore di tradizione britannica, dalle melodie decadenti, dal piglio riottoso e dalle atmosfere apocalittiche. Insieme agli indimenticati texani War Master, i Chaosbringer sono stati fin dal primo giorno (e sono tuttora anche se piombati in un silenzio assordante da alcuni anni) una delle band più convincenti a colmare il vuoto lasciato dai maestri Bolt Thrower e in generale di certa scuola death metal britannica. I Chaosbringer si presentano in questo loro lato dello split intitolato Immersion in Darkness con tre tracce, di cui due inedite e una cover di Impale the Soul dei Nunslaughter, che non lasciano troppo spazio ai dubbi: un death metal old school dall’attitudine e dallo spirito ferocemente belligeranti, impacabili nella loro furia spietata e nel loro istinto distruttivo, un muro di suono granitico e inattaccabile che si pone come unico scopo quello di non fare prigionieri e di lasciare solo macerie sul campo di battaglia finito l’ascolto. Un death metal che parte e ritorna ai mostri sacri Bolt Thrower, tanto quelli più primitivi e “punk” di In Battle There Is no Law quanto quelli di War Master e Realm of Chaos, ma che guarda anche ai Benediction e in minor parte ai Cancer. Un sound che potrebbe risultare fin troppo derivativo ma che i nostri sanno maneggiare con attenzione, con passione e con la giusta dose di personalità, sfuggendo al rischio di apparire mere copie dei maestri britannici. Come annuncia il loro nome, bastano tre tracce ai russi per farsi portatori del caos nelle nostre vite e per organizzare l’assalto finale a questo mondo!

Dall’altro lato dello split invece i Ruinas ci investono con il loro crust punk vecchia scuola che odora ancora dei fetori marciulenti di quel brodo primordiale noto come stenchcore. Muovendo i passi dalla primordiale lezione della scuola inglese di Deviated Instinct, Axegrinder e Hellbastard e affondando le radici in profondità nell’esempio di band come Sanctum o Stormcrow, gli argentini sono maestri nel costruire un’atmosfera apocalittico-catastrofica che aleggia pesante e minacciosa su tutte e cinque le tracce presenti sul loro lato dello split, evocando costantemente durante l’ascolto immaginari dominati da sofferenza, desolazione e miseria e facendoci così sprofondare in un’oscurità apparentemente impenetrabile e in vortici di paranoie senza fine. Ma lo stench-crust apocalittico suonato dai Ruinas non è solamente angoscia, disillusione e nichilimo, perché nella loro musica continua stoicamente a sopravvivere un istinto battagliero mosso da una furia barbarica che sottoforma di ascia bipenne è pronta a sferrare colpi mortali agli orrori della nostra civiltà. Come una flebile fiamma di resistenza e di ribellione che continua a bruciare sotto la cenere, il rozzo e primitivo crust punk dei Ruinas è pronto a divampare per illuminare l’oscurità di questi tempi bui e indicarci la strada tra le macerie lasciate dall’umanità una volta che si sarà estinta. Chaosbringer da una parte, Ruinas dall’altra. Senza gridare al miracolo, siamo comunque al cospetto di uno degli split più completi, intensi e feroci pubblicati all’interno della scena crust punk che merita assolutamente di essere riscoperto e apprezzato da tutti coloro che nella propria collezione personale custodiscono come fossero reliquie album del calibro di In Battle there’s no Law, Rock’n’Roll Conformity o On the Horizon.